lunedì 11 febbraio 2013

Riforma protestante e Riforma cattolica (da A. La Vergata)


Riforma protestante e Riforma cattolica
Non solo umanisti come Erasmo, ma anche teologi, laici devoti, settori del clero e degli ordini religiosi denunciavano, soprattutto nell'Europa settentrionale, la corruzione e l'inadeguatezza culturale del clero, l'ignoranza religiosa e la superstizione del popolo, l'intreccio tra ministero episcopale, interessi politici ed economici. Il Papato era bersaglio di critiche per il suo stile di vita mondano e raffinato, privo di scrupoli in politica e disimpegnato sul terreno religioso. Molti chiedevano una profonda riforma sia nella gerarchia sia nel popolo cristiano. La mancata risposta a questi appelli diede carattere esplosivo alla Riforma protestante.
La Riforma protestante è l'insieme delle vicende che, nella prima metà del Cinquecento, condusse alla divisione della cristianità occidentale. L'Europa settentrionale aderì al protestantesimo, soprattutto nelle confessioni luterana e calvinista, mentre l'Europa meridionale restò in prevalenza cattolica. La Riforma tentò di restituire al cristianesimo la purezza delle origini: lo fece ponendo la Bibbia come fondamento esclusivo di un nuovo modo di intendere la fede.
La Controriforma è la reazione cattolica alla minaccia protestante. Consistette sia in un insieme di misure repressive, sia in una più rigorosa definizione della dottrina e della disciplina della Chiesa. La Chiesa di Roma, respingendo il riferimento esclusivo alle Scritture tipico dei protestanti, riaffermò il ruolo della «Tradizione» e della gerarchia ecclesiastica. L'espressione "Riforma cattolica" indica il rinnovamento interno (non riducibile alla lotta antiprotestante) della Chiesa cattolica in quel periodo.
La separazione tra cattolici e protestanti ha segnato profondamente la cultura e la storia del nostro continente e, di riflesso, del mondo intero. Solo negli ultimi decenni, grazie al movimento ecumenico, la Chiesa cattolica e le Chiese nate dalla Riforma hanno ripreso il dialogo e ritrovato un certo grado di accordo teologico.

Lutero
Protagonista della prima fase della Riforma fu il monaco agostiniano tedesco Martin Lutero (Martin Luther, 1483-1546). Solo la fede, secondo Lutero, può rendere l'uomo giusto agli occhi di Dio, consentendogli di giungere alla salvezza. Il contenuto fondamentale della fede è l'annuncio centrale del Nuovo Testamento: Gesù, il Figlio di Dio, è morto e risorto per espiare i nostri peccati. Chi crede questo è giusto e salvo. A "giustificare", cioè a rendere giusti, non sono le opere, neppure le penitenze straordinarie (digiuni, veglie, mortificazioni corporali) dei monaci. Dio solo può farlo, mediante la grazia (dal latino gratis, che indica un dono concesso senza nulla in cambio), ovvero il Suo agire misericordioso. La giustificazione mediante la fede proposta da Lutero intendeva riaffermare la centralità della grazia, secondo la prospettiva originaria del Nuovo Testamento.
Il 31 ottobre 1517 Lutero affisse a Wittenberg le celebri 95 tesi «sull'efficacia delle indulgenze». La gerarchia ecclesiastica aveva la facoltà di usare il cosiddetto "tesoro della Chiesa" (i meriti di Cristo e dei santi) a beneficio dei vivi e dei morti, per abbreviare o annullare le pene del Purgatorio: erano queste le «indulgenze». La loro predicazione degenerava talvolta in forme grossolane, in cui la Chiesa sembrava disporre a proprio piacimento della misericordia divina e, per così dire, delle chiavi dell'Aldilà, anche dietro versamento di denaro. Lutero criticava duramente tutto ciò. Le sue tesi furono presto tradotte in tedesco e, grazie alla stampa, diffuse in tutta la Germania.
Ebbero vasto consenso, anche per ragioni teologicamente meno profonde, perché facevano appello al radicato malumore verso la ricchezza e la corruzione del clero. Le reazioni della Chiesa romana indussero Lutero a credere che non questo o quel cattivo papa, ma il Papato in quanto tale era non solo estraneo, ma anche radicalmente ostile al cristianesimo: il papa era l'Anticristo in persona, l'oscura figura profetizzata da vari testi biblici (il libro del profeta Daniele, i brani apocalittici dei Vangeli e di Paolo). Nel 1521 Lutero fu scomunicato. Lutero auspicava un ritorno alla Chiesa delle origini e metteva in discussione l'intera struttura gerarchica della Chiesa tardomedievale. Non respingeva indiscriminatamente la tradizione (i concili antichi, i Padri, soprattutto l'amato Agostino), ma la subordinava in modo assoluto alla Parola di Dio (che annuncia la grazia): essa era l'unico fondamento della Chiesa. Il protestantesimo avrebbe poi codificato questo messaggio nella formula sola gratia, sola fide, sola Scriptura ("con la sola grazia, con la sola fede, con la sola Bibbia"): la salvezza non ha altro fondamento che la grazia di Dio, accolta dalla fede e rivelata attraverso la Bibbia. Questa non richiede interpreti ufficiali (la gerarchia ecclesiastica), perché è chiara di per sé, è «interprete di se stessa»: per comprenderne il senso il credente è illuminato dallo Spirito Santo.
Lutero rilesse in questa chiave i sacramenti, con esiti radicali: dei sette codificati dalla Chiesa medievale solo due, il battesimo e la cena del Signore (l’eucaristia), reggevano il vaglio della Scrittura e risultavano biblicamente fondati. La cena andava somministrata anche ai laici sotto le due specie del pane e del vino, prima riservate al clero (come era già stato sostenuto cent'anni prima dal riformatore boemo Jan Hus, mandato al rogo dal concilio di Costanza nel 1415)[1]. Il sacramento dell'ordine doveva essere abolito: le Chiese della Riforma avrebbero continuato a consacrare pastori, ma il ministero non avrebbe fatto di loro dei mediatori di tipo sacerdotale.
Per Lutero la Chiesa è, infatti, «apostolica» quando è fedele all'insegnamento degli apostoli, non per la continuità ininterrotta dei vescovi sin dall'età apostolica. È «cattolica» perché è presente in tutto il mondo e professa la vera fede, non perché subordinata al papa, del cui primato la Bibbia non parla (Lutero lo riconduce all'ideologia imperiale dell'antica Roma). Il dissenso non era dunque contro la Chiesa, ma sulla concezione di Chiesa. La nuova Chiesa fu detta evangelica (poi "luterana", con un termine che a Lutero non sarebbe piaciuto). II termine "protestante" risale alla protestatio ("solenne dichiarazione", dal verbo latino protestari) di fedeltà «alla Parola di Dio» che i principi sostenitori di Lutero presentarono all'imperatore Carlo V alla dieta di Spira del 1529. Stando all'etimologia, non esprime dunque una "contestazione", ma la volontà di professare senza compromessi e distorsioni l'essenziale della fede (evangelo della grazia).
La traduzione della Bibbia in tedesco fatta da Lutero, un capolavoro letterario, fu lo strumento essenziale per mettere la Scrittura nelle mani di ogni credente. Ma occorreva innanzitutto saper leggere: la Riforma in Germania promosse così una rete capillare di «scuole cristiane». Per trasmettere i fondamenti elementari del cristianesimo al popolo Lutero compose catechismi, spiegazioni semplici e sistematiche della fede in domande e risposte. Per superare il carattere "magico" e oscuro della messa cattolica in latino, passò al tedesco e promosse la partecipazione dei fedeli attraverso il canto. Lui stesso compose, spesso su melodie popolari, numerosi inni. Lo scopo di queste iniziative era riaffermare la dignità del semplice cristiano laico. Lutero respingeva l'ideale medievale di perfezione del monachesimo: la «maledetta tonaca» per lui non copriva altro che ipocrisia e autogiustificazione. Ciascuno infatti risponde alla chiamata o vocazione di Dio compiendo il proprio compito o «professione» nel mondo, per umile che sia. Prendendo lui stesso moglie nel 1525, Lutero faceva più che una scelta privata: inaugurava un nuovo modello di vita cristiana nel mondo. La Riforma attuò, ancora all’interno della cristianità medievale, una secolarizzazione cristiana. La fede restava l'anima di una società sottratta al controllo della Chiesa di Roma, ma anche al fascino dell'ideale clericale e monastico del Medioevo.
Lutero bollò con parole di fuoco la ragione e la filosofia, a cominciare dall'«empio maestro» Aristotele, che voleva bandire dalle università. Ma gli strumenti filosofici e lo stesso Aristotele furono ben presto reintegrati nella nuova teologia dall'amico e collega prediletto di Lutero, Filippo Melantone (nome grecizzato di Philipp Schwarzerd, 1497-1560), protagonista della riorganizzazione del sistema universitario in Germania. La polemica di Lutero prendeva di mira in primo luogo i «sofisti», i teologi scolastici, accusati di una proterva speculazione razionalistica su Dio. Questa ragione, metafisica e teologizzante, aveva messo «sotto la panca» il modo biblico di parlare di Dio (narrativo e storico) e si dimostrava cieca di fronte a Lui. Ma la ragione come tale restava - per decreto divino - una valida guida nel mondo terreno, nella vita familiare, sociale, economica. Proprio nella Germania protestante del primo Ottocento si sarebbe sviluppata una spregiudicata critica biblica di tipo razionalista, che sarebbe giunta a ridurre a mito verità fondamentali della fede, come la credenza in Cristo uomo-Dio e la sua risurrezione.
Lutero emancipò la politica dalle ingerenze ecclesiastiche, ma continuò a concepirla secondo il modello a lui più familiare: i principati feudali. Ostile alla partecipazione popolare al governo, nel 1525 condannò aspramente la rivolta contadina che scosse dalle fondamenta il mondo tedesco e incoraggiò la durissima repressione dei prìncipi. Pur non essendo insensibile alle richieste sociali dei contadini, provava orrore per l'insurrezione contro l'autorità stabilita da Dio. Di fatto, nel mondo luterano (Germania e Scandinavia) prìncipi e sovrani, venuta meno la guida papale, subentrarono ai vescovi nel controllo della Chiesa. Lutero si era battuto non per la libertà politica, ma per la libertà del cristiano, per il suo affrancamento spirituale dal peso opprimente del peccato e dalle «leggi arbitrarie» (indulgenze, diritto canonico, privilegi ecclesiastici) della «Chiesa del papa». Non era poco, in un'epoca in cui peccato e reato erano la stessa cosa e in molti campi (matrimonio, economia, finanza, scuola, università) la Chiesa esercitava un'influenza enorme. La Riforma trasformò il mondo interiore e l'esperienza ecclesiale (e di riflesso la vita quotidiana) di milioni di uomini e donne. Ma il suo esito immediato non fu certo la libertà politica o l'emancipazione personale in senso moderno.

La Riforma in Svizzera: Zwingli e Calvino
Nella diffusione della Riforma, la Svizzera ebbe un ruolo cruciale, inizialmente attraverso la predicazione del prete e umanista Huldrych Zwingli (1484- 1531), che introdusse a Zurigo una riforma molto più radicale di quella di Lutero. Zwingli concepiva la riforma della Chiesa come un rinnovamento dell'intera società cristiana: per questo si batté, ad esempio, contro la povertà e il mestiere del soldato mercenario, espediente allora comune, in Svizzera, per guadagnarsi da vivere nelle misere aree montane. Eliminò dal culto ogni aspetto che ricordasse la «superstizione papista» (così i protestanti chiamavano il cattolicesimo romano), compresi le immagini sacre, la musica e il canto. La fede, infatti, per Zwingli doveva nascere dall'ascolto della nuda Parola, non inquinata da pratiche che la Bibbia condanna come idolatria, ossia falso culto della divinità.
Ben più vasta e duratura fu l'influenza della riforma promossa dal francese Giovanni Calvino (Jean Calvin, 1509-1564). Dopo studi umanistici e giuridici, Calvino si accostò alle idee di Lutero e, al seguito di Guillaume Farel (1489-1565), introdusse la Riforma a Ginevra. Eliminò dalla Chiesa ogni traccia di gerarchia non attestata dalla Bibbia, stabilendo come unici ministri i pastori, gli anziani (laici autorevoli) e i diaconi (addetti a servizi assistenziali). A differenza di Lutero, non conservò la struttura esterna della messa cattolica, ma la sostituì con un culto evangelico fondato sul solo ascolto della Parola e sulla predicazione. Condannò severamente il culto dei santi e proibì qualunque raffigurazione del divino: statue e affreschi furono ovunque rimossi dalle chiese calviniste, trasformate in aule disadorne, adatte all'ascolto della sola Parola, senza distrazioni.
I capisaldi della teologia di Calvino, esposti nell'opera Istituzione della religione cristiana (Institutio religionis christianae, 1536), sono la gloria di Dio e la predestinazione. La creazione è il teatro in cui si manifestano l'onnipotenza e la saggezza del Creatore; ogni opera di Dio ne tesse le lodi, in particolare l'uomo, creato a sua immagine. Tuttavia il peccato originale ha completamente guastato l'immagine divina nell'uomo: lasciato a se stesso, egli è nel peccato. Dio solo, dall'eternità, ha stabilito chi, credendo in Gesù Cristo, sarà salvo e chi sarà dannato. Non solo lo sa (ne ha prescienza), ma è anche la causa diretta della salvezza degli uni e della dannazione degli altri: apre il cuore di un uomo alla grazia, indurisce quello di un altro. All'obiezione che questo è ingiusto, Calvino risponde che Dio è Dio, e Lui solo stabilisce ciò che è bene e ciò che è male. La distinzione fra bene e male, quindi, non esiste prima di Dio e indipendentemente da Lui come qualcosa a cui Egli si debba conformare. Buono e giusto è ciò che Dio vuole, per quanto incomprensibile possa apparire alla limitata ragione umana.
Calvino condivide le tesi sostenute da Lutero nel De servo arbitrio (Sull'arbitrio schiavo, 1525), ampia replica al De libero arbitrio (1524) in cui Erasmo da Rotterdam difendeva la libertà umana. Per ambedue i riformatori, l'uomo è spinto da Dio a scegliere volontariamente - benché non liberamente - la salvezza o la dannazione per lui decretate. Insistendo sulla predestinazione, la Riforma si opponeva totalmente alla visione antropocentrica dell'Umanesimo: al centro di tutto è la gloria di Dio, non la dignità dell'uomo. E nelle mani di Dio i riformatori volevano riportare interamente il destino dell'uomo, sottraendolo sia alla mediazione della Chiesa sia all'impegno morale individuale.
Il calvinismo considera le opere umane irrilevanti per la salvezza. Eppure non generò nei credenti passività o fatalismo, ma un forte impegno ad agire nel mondo. Una vita moralmente buona, ordinata, operosa, produttiva è infatti un segno (non una causa) dell'elezione, cioè della scelta, da parte di Dio: Dio trasforma l'intera vita dei suoi eletti non solo giustificandoli, ma anche santificandoli, come singoli e come comunità. Questa trasformazione doveva essere visibile: a tal fine Calvino attuò a Ginevra una profonda riforma della società cristiana, combattendo l'analfabetismo e la sporcizia, e assoggettando a restrizioni e divieti le taverne, il ballo, il teatro, le vesti considerate troppo sgargianti o provocanti, il parlare osceno e, al di sopra di tutto, la bestemmia (per un calvinista è bestemmia il solo nominare il nome di Dio senza la dovuta reverenza).
Estremo rigore Calvino mostrò anche nella lotta contro l'eresia, culminata nel rogo, da lui approvato, del medico e teologo spagnolo Michele Serveto (Miguel Servet, 1511-1553), colpevole di negare la Trinità. Tuttavia, nello stesso mondo protestante non mancarono critiche. L'umanista Sébastien Castellion (1525-1563), nell'opuscolo Se si debbano perseguitare gli eretici (De haereticis an sint persequendi, 1554), obiettò che l'incertezza della conoscenza umana intorno a Dio impone che si ammettano diverse opinioni. L'idea della tolleranza, allora sottoscritta da una ristretta minoranza, era destinata a un grande futuro.
Ginevra divenne il prototipo della città rinnovata dalla fede, la «repubblica dei santi», un ideale che eserciterà un'influenza profonda sulla storia politica. Come Lutero, Calvino era l'antitesi del rivoluzionario: l'obbedienza era per lui il dovere fondamentale del cristiano. Ma il più dinamico contesto urbano e commerciale in cui viveva lo spinse a una maggiore apertura verso le forme repubblicane e soprattutto a porre un preciso limite all'autorità politica, in nome dei superiori diritti di Dio. In casi estremi, pensava Calvino, per il cristiano è lecito, anzi doveroso, insorgere contro un'autorità apertamente idolatra.
In base a questi principi il calvinismo ispirò teorie politiche antiassolutistiche e fornì la giustificazione religiosa di rivoluzioni che scoppiarono tra Sei e Settecento in Olanda, Scozia, Inghilterra (e nelle sue colonie americane). Ovunque i calvinisti – dai puritani inglesi in lotta contro la monarchia ai valdesi italiani, che aderirono alla Riforma nel 1532 - mostrarono grande combattività e tenacia anche in condizioni avverse, convinti di essere predestinati dal Signore a lottare in questo mondo per la Sua gloria.

La riforma radicale: gli anabattisti
Una riforma di carattere ben più radicale fu promossa da numerosi movimenti religiosi. Data la profonda compenetrazione tra istituzioni politiche e religiose, le nuove interpretazioni della fede avevano spesso conseguenze sociali e politiche rivoluzionarie. È il caso degli «anabattisti». Con questo termine generale (derivato dal greco: significa "battezzati di nuovo") ci si riferisce ai gruppi che negavano il valore del battesimo dei neonati, in quanto incapaci di intendere e di volere, e ripetevano il battesimo da adulti, convinti che la fede fosse una scelta consapevole, che solo una persona matura può compiere. Gli anabattisti concepivano la Chiesa come una comunità di eletti, una minoranza santa e separata dalla massa dei miscredenti, dei papisti e dei protestanti di diverso orientamento, tutti destinati alla perdizione.
In quanto «santi di Dio» si consideravano estranei allo Stato, istituzione pagana. Attribuivano grande importanza alla santificazione che Dio opera nei suoi eletti: i cristiani non vivono come tutti, ma accolgono alla lettera il messaggio radicale del discorso della montagna di Gesù (Matteo 5-7): di qui, spesso, il ripudio della violenza, sino al rifiuto del servizio nell'esercito e dello stesso potere dei magistrati; di qui anche il rifiuto di prestare giuramento, che era il vincolo di lealtà politica proprio della società feudale. Taluni gruppi anabattisti, come quelli che nel 1535 furono annientati nella città tedesca di Munster, respingevano anche la proprietà privata, in nome della comunione dei beni della Chiesa primitiva.
Per questa carica eversiva gli anabattisti, anche i più miti, furono perseguitati senza pietà in tutta Europa. Nasceva così una tradizione: minoritaria del protestantesimo, che avrebbe portato sino ai giorni nostri alcune istanze etiche centrali del cristianesimo delle origini: la nonviolenza e un egualitarismo radicale capace di andare oltre le barriere della condizione sociale e persino del genere. In alcuni gruppi, infatti, le donne furono ammesse al ministero ecclesiastico, che solo qualche decennio fa è stato aperto alle donne da luterani e riformati, ed è tuttora negato dalla Chiesa cattolica.

Controriforma e Riforma cattolica
Alla minaccia protestante la Chiesa cattolica reagì con la Controriforma. Il termine indica l'insieme delle iniziative con cui contrastò la diffusione del protestantesimo nei secoli XVI e XVII. Fu attuata sia attraverso misure repressive sia attraverso una più rigorosa definizione della dottrina e della disciplina della Chiesa. Poiché l'attività della Chiesa non si ridusse alla repressione, è meglio parlare di «Riforma cattolica», intendendo con questa espressione il suo rinnovamento interno, non riducibile alla lotta antiprotestante. Già da tempo, infatti, molti cattolici invocavano una profonda riforma nelle gerarchie e nel popolo cristiano.
Il concilio di Trento, celebrato tra il 1545 e il 1563 con lunghe interruzioni, segnò l'avvio della Controriforma e diede un impulso decisivo al rinnovamento della Chiesa. Determinò in misura rilevante il destino della Chiesa nei secoli successivi, per molti aspetti sino a oggi. La sfida dei protestanti costrinse la Chiesa romana a ridefinire profondamente la propria identità. I decreti (le decisioni conciliari) di Trento chiarirono punti dogmatici (sulla dottrina della fede) e fornirono direttive disciplinari (relative all'organizzazione ecclesiastica).
In campo dogmatico il concilio riaffermò il valore della Tradizione come tramite della Rivelazione accanto alla Bibbia, in opposizione alla sola Scriptura protestante. La Rivelazione di Dio in senso stretto non ha altra fonte che la Bibbia, ma il senso della Bibbia deve essere spiegato ai fedeli dalla gerarchia ecclesiastica (il papa, i vescovi, il clero), che si attiene alle autorevoli interpretazioni bibliche del passato (concili, papi, Padri della Chiesa). Senza la Tradizione, proclamò il concilio, la Bibbia sarebbe muta o, peggio, in balla di interpretazioni arbitrarie. Fu dunque deciso di riconfermare la validità della Vulgata di san Girolamo (una traduzione latina della Bibbia della fine del IV secolo) come testo ufficiale della Sacra Scrittura, sebbene la filologia umanistica ne avesse ampiamente mostrato le imperfezioni.
Dopo Trento la lettura del testo sacro da parte dei laici fu, se non apertamente sconsigliata, quantomeno guardata con sospetto. Già il latino costituiva un'invalicabile barriera per la stragrande maggioranza dei cristiani; ma anche per i colti la lettura autonoma della Bibbia era insolita o pericolosa. Basti pensare al caso di Galileo, colpito da censura ecclesiastica non solo per la sua adesione al copernicanesimo, ma anche per la sua pretesa di suggerire, da semplice laico, alcuni criteri di esegesi biblica. Le stesse lingue e letterature dei paesi cattolici attinsero meno del mondo protestante alla Scrittura come fonte di narrazioni, forme espressive, metafore. Il saldo controllo esercitato dalla gerarchia sull'interpretazione del testo bloccò alla radice lo sviluppo nel mondo cattolico di forme di radicalismo politico-religioso, che furono invece frequenti nel mondo protestante[2].
In opposizione alla dottrina protestante della giustificazione per fede, il concilio di Trento riaffermò la doppia radice della giustificazione: sia la fede sia le opere. Il credente collabora alla salvezza e acquisisce un merito, che consiste innanzitutto nella libera adesione alla fede e, successivamente, nelle opere buone che compie. Come i protestanti, i padri conciliari riconoscevano come finte prima della salvezza la grazia di Dio, ma riaffermavano il libero arbitrio (negato tanto da Lutero quanto da Calvino): il battesimo cancella ogni traccia del peccato originale, reintegrando l'uomo nell'innocenza che fu di Adamo ed Eva nel giardino dell'Eden.
Il concilio confermò anche i sette sacramenti. Riaffermò poi l'ordine come autentico sacramento istituito da Cristo, contro la negazione protestante della distinzione tra clero e laici. Nella dottrina dell'eucaristia approvò la teoria tomista della transustanziazione: la presenza reale di Cristo nel pane e nel vino e il ministero sacerdotale si sostengono reciprocamente; solo la consacrazione compiuta dal prete rende attuale in ogni messa il sacrificio della Croce.
Il concilio non sposò una determinata scuola filosofica o teologica, ma i suoi decreti dogmatici (cioè le decisioni sulla dottrina della fede) influenzarono profondamente l'orientamento della Chiesa nei secoli successivi. Fu confermata l'adesione alla prospettiva tomista, nella quale fede e ragione erano distinte, ma armonizzabili. La fede, a sua volta, era affidata alla vigilanza della Chiesa, la quale si riservava così un preciso ruolo culturale, almeno nel definire i quadri generali entro cui la «retta ragione» dovrebbe operare. Questo modello (ovviamente aggiornato) è giunto sino a noi: ne è un esempio un documento ufficiale come l'enciclica Fides et ratio di Giovanni Paolo II (1998).
Per contrastare la diffusione dell'eresia la Chiesa istituì l'Indice dei libri proibiti (1559), un elenco delle opere teologiche, filosofiche, scientifiche e letterarie giudicate eretiche o immorali, che erano vietate ai cattolici e destinate al rogo. li tribunale dell'Inquisizione, con sede centrale a Roma e rinnovato rispetto all'Inquisizione medievale, ebbe il compito di individuare e giudicare gli eretici. Fu riaffermata la legittimità della venerazione dei santi, che i protestanti respingevano come idolatria. Nello stesso tempo aumentava il controllo della Chiesa sulla devozione popolare, perché non degenerasse in forme di superstizione magica. Alla venerazione dei santi era legata la devozione alle immagini sacre, parimenti confermata.
In opposizione al richiamo esclusivo alla Parola, caratteristico degli evangelici, il concilio valorizzava soprattutto il linguaggio figurativo. Nell'età della Controriforma, la Chiesa cattolica si fece committente di innumerevoli opere d'arte (chiese, affreschi, statue) volte a celebrare la gloria di Dio e della Chiesa attraverso un'esteriorità "teatrale" che i protestanti - in modo particolare i calvinisti - respingevano.
Il concilio riaffermò l'obbligo del celibato. Istituì i seminari, convitti per la formazione culturale e religiosa dei futuri preti. La Chiesa si garantiva in tal modo un clero dotato di un buon grado di preparazione filosofica e teologica (su fondamenti tomisti), e soprattutto fedele alle direttive della gerarchia. In società in cui non di rado più del 90% della popolazione era analfabeta, si formava una classe di intellettuali destinati a essere punto di riferimento e mediatori di conoscenze anche nelle aree più remote. Il clero fu una delle strutture portanti della società cattolica europea, anche quando (nel Settecento e nell'Ottocento) parte di esso fu coinvolta nell'elaborazione e nella diffusione di idee illuministiche e liberali, più o meno in contrasto con la dottrina ufficiale della Chiesa.
Un contributo decisivo alla repressione delle eresie e alla Riforma cattolica venne dal nuovo ordine della Compagnia di Gesù (i gesuiti), fondato nel 1540 dallo spagnolo Ignazio di Loyola (149 1-1 556), che volle farne le "truppe scelte" della Chiesa, da schierare in prima linea nella lotta contro gli eretici e nella conquista di anime al cattolicesimo.
Al rifiuto protestante dell'obbedienza alla gerarchia, i gesuiti risposero aggiungendo ai tre voti religiosi (povertà, castità, obbedienza) quello dell'obbedienza totale al pontefice romano. Rigorosa formazione ascetica e accurata preparazione filosofica e teologica caratterizzarono sin dagli inizi la Compagnia di Gesù. La sua predicazione, coordinata con l'azione militare degli Stati cattolici, riconquistò alla Chiesa di Roma intere regioni passate al protestantesimo (in Austria, nella Germania meridionale e nell'Europa orientale).
I gesuiti si distinsero anche nelle missioni in Asia e nelle Americhe, dove si impegnarono a guadagnare a Cristo i "pagani". Nelle terre più lontane da Roma avviarono esperienze profondamente innovative: tradussero nelle lingue locali anche i testi liturgici, compiendo audaci tentativi - non sempre graditi a Roma - di presentare la fede cristiana in termini culturali accettabili nella visione del mondo di altri popoli (Cina, Giappone, nativi americani).
In Europa si concentrarono sulla formazione delle classi dirigenti, soprattutto attraverso la scuola superiore e l'università. Nei convitti gesuitici i figli dei nobili e dell'alta borghesia ricevevano una solida preparazione culturale di tipo umanistico e religioso, per diventare, una volta adulti, una classe dirigente docile alla gerarchia. Attraverso la confessione e la direzione spirituale, i gesuiti esercitarono un'influenza profonda sugli stessi sovrani cattolici. Grande importanza ebbero le università gesuitiche, in cui fu sviluppato il pensiero di Tommaso d'Aquino; furono centri di alta cultura, soprattutto nelle scienze.
La Riforma cattolica conobbe altre forme di rinnovamento “dal basso", ben prima dei decreti di Trento. Sorsero nuovi ordini religiosi (i teatini, i fatebenefratelli, i barnabiti, i somaschi), mentre altri venivano rinnovati (come i cappuccini, sorti dalla riforma dell'ordine francescano).
Essi diedero impulso all'evangelizzazione, tanto nella predicazione popolare quanto nelle missioni, e alle attività caritative. Nei paesi cattolici l'assistenza a poveri, malati, orfani, vedove, soggetti marginali o, come si direbbe oggi, "devianti" rimase a lungo affidata quasi esclusivamente alla Chiesa.

Riforma Controriforma e filosofia
Le controversie teologiche e i conflitti politici e sociali che le accompagnarono non potevano non avere conseguenze importanti sulla filosofia, la quale aveva da sempre affrontato il tema del rapporto fra Dio e l'uomo. Innanzitutto, il confine fra teologia e filosofia era a quei tempi ancora più incerto di oggi. In secondo luogo, l'intolleranza che tali conflitti fomentarono e le guerre di religione che insanguinarono l'Europa fecero sorgere sia in campo cattolico sia soprattutto in campo protestante il desiderio di una concordia fra i cristiani fondata sulla ragionevolezza comune a tutti gli uomini e le prime idee sulla tolleranza religiosa.
Gli eventi politici imposero nuovi elementi alla riflessione dei filosofi sullo Stato e le forme del governo e della convivenza. La rivendicazione protestante della libertà del credente nel rapporto con la Scrittura stimolò lo sviluppo di una nuova disciplina, la critica biblica, con la conseguenza di una continua rilettura e interpretazione del testo sacro come fonte di riflessione filosofica.
Aspetti decisivi della filosofia e della cultura in paesi come la Germania e la Gran Bretagna non sarebbero comprensibili se si prescinde dalle conseguenze della Riforma. Allo stesso modo, la presenza della Chiesa cattolica, la Controriforma e la Riforma cattolica condizionarono la vita culturale nei paesi, fra cui in primo luogo l'Italia, dove il protestantesimo fu represso. Nacque allora la figura dell'intellettuale, cattolico o protestante, costretto a emigrare in cerca della libertà che gli era negata in patria.


Cattolici e protestanti oggi
I rapporti tra la Chiesa cattolica e le Chiese protestanti, per secoli segnati da fiera ostilità (in particolare durante le guerre di religione dei secoli XVI e XVII), hanno conosciuto negli ultimi decenni una profonda trasformazione. La novità più rilevante è il movimento ecumenico: in una parola, le grandi Chiese storiche (cattolica, protestanti, ortodosse) sono passate dalle reciproche condanne al dialogo, nello sforzo di recuperare l'unità visibile. Il movimento ecumenico è sorto in ambito protestante e qui ha raccolto i primi successi: nel 1948 è nato il Consiglio ecumenico delle Chiese, che raccoglie ben 317 Chiese protestanti e ortodosse e dialoga con la Chiesa cattolica. Alcune tappe meritano di essere ricordate: riformati e luterani, per secoli divisi da divergenze dottrinali, con la «Concordia di Leuenberg» (1973) sono arrivati al pieno riconoscimento reciproco. L'ingresso ufficiale della Chiesa cattolica nel movimento ecumenico si può far coincidere con il decreto Unitatis Redintegratio (Ricomposizione dell'unità) del Concilio Vaticano II (1964). Nel 1999 cattolici e luterani hanno sottoscritto ad Augusta (Germania) una dichiarazione di accordo sulla giustificazione, la questione cruciale che divise le Chiese all'epoca della Riforma.
Ma sulla strada dell'unità restano ostacoli molto gravi: innanzi tutto, i diversi modi d'intendere l'autorità esercitata dalla Chiesa e in particolare il ruolo del papa; i sacramenti; l'impostazione talvolta divergente su grandi questioni morali (in prima linea la sessualità e la bioetica). Nella Chiesa cattolica prevale tuttora la tendenza a scendere nei particolari nelle prescrizioni etiche, mentre le Chiese protestanti storiche preferiscono fare appello alla coscienza individuale. Il quadro si complica ulteriormente se si considerano i movimenti neoconservatori in pieno sviluppo sia in ambito cattolico sia nel mondo protestante (evangelicali, pentecostali)[3]: per quanto divisi sul piano dottrinale e poco o per nulla interessati al dialogo ecumenico, questi movimenti sono infatti accomunati dal rifiuto del mondo moderno e dal conservatorismo in campo morale .



[1] La controversia sull'eucaristia
Seppure concordi nell'esigenza di un rinnovamento della cristianità, i riformatori erano divisi fra loro su questioni liturgiche e teologiche. La controversia più importante fu quella sull'eucaristia. Lutero manteneva la dottrina cattolica della presenza reale, fisica, di Cristo nella santa cena. Mentre però Tommaso d'Aquino sosteneva che le sostanze del pane e del vino si trasformano nel corpo e nel sangue di Cristo (transustanziazione, ovvero trasformazione di una sostanza in un'altra), Lutero affermava che il pane e il vino restano tali, pur divenendo anche il corpo e il sangue di Cristo (consustanziazione, cioè fusione di due sostanze in una). Per Zwingli, invece, la santa cena è solo una memoria simbolica della passione di Gesù. In un incontro del 1529, i due riformatori si scontrarono aspramente su questo solo punto. Calvino rifiutò sia il simbolismo assoluto di Zwingli sia la concezione di Lutero, che gli sembrava troppo vicina a quella cattolica: Cristo risorto è in cielo, pensava, non nell'ostia; nella cena è presente in modo spirituale. Queste divergenze, che oggi potrebbero sembrare sottigliezze, divisero per secoli le Chiese luterane dalle "riformate" (termine, quest'ultimo, che indica la tradizione calvinista e non tutte le Chiese sorte dalla Riforma), e furono causa di conflitti anche politici. Si trattava, infine, di questioni di rilevanza filosofica, oltre che teologica. La dottrina della transustanziazione si fondava infatti sulla distinzione aristotelica fra sostanza e accidenti. Una distinzione che avrebbe fatto sembrare pericolosa per la fede la teoria galileiana della materia.
[2] Fondamentalismo
L’assenza di un'autorità centrale ha favorito nel protestantesimo forme di religiosità molto diverse fra loro, alcune molto aperte agli sviluppi della cultura non religiosa, altre molto meno, altre infine nettamente ostili, come quelle che tuttora contrappongono all'evoluzionismo l'interpretazione letterale del racconto biblico della creazione. Un tentativo di porre un limite all'''anarchia interpretativa" che ha caratterizzato spesso il rapporto fra le confessioni protestanti e la Bibbia è rappresentato dal cosiddetto «fondamentalismo»; una difesa dei principi tradizionali ("biblici") contro il movimento iniziato con la critica biblica tedesca. Il termine deriva dai Fundamentals (I fondamenti), una serie di trattati di vari autori che furono pubblicati negli Stati Uniti fra il 1910 e il 1915 su vari temi religiosi, fra cui il rapporto fra scienza e fede e fra cristianesimo ed evoluzionismo. Gli autori rappresentavano una vasta gamma di opinioni, spesso in contrasto fra loro. Alcuni sostenevano posizioni molto intransigenti. Da allora il termine designa comunemente, anche se non correttamente, un integralismo religioso (non solo cristiano) che si attiene all'interpretazione letterale dei testi sacri e si oppone agli sviluppi della scienza e della cultura che li mettono in discussione. Alcuni gruppi fondamentalisti americani sono diventati noti in tutto il mondo per le loro prese di posizione intransigenti, non di rado accompagnate da atti violenti, su problemi come l'aborto, i diritti delle donne, l'omosessualità.
[3] Evangelici, evangelicali, pentecostali
Il termine "evangelico", riferito a Chiese o gruppi di credenti, è sinonimo di "protestante". In Italia sono presenti diverse comunità evangeliche: innanzitutto, i valdesi; inoltre, i metodisti, sorti nella seconda metà del XVIII secolo per iniziativa del pastore anglicano John Wesley e ampiamente presenti in Gran Bretagna e negli Stati Uniti; i battisti, eredi sia di spunti della tradizione anabattista, sia delle Chiese riformate, e presenti nel nostro paese in seguito a missioni anglosassoni successive all'unità d'Italia; i luterani; i quaccheri (quakers), come vengono chiamati i membri della "Società degli Amici" (Society of Friends), nata in Inghilterra nel XVII secolo, una comunità caratterizzata dal rifiuto delle rigidità dogmatiche, dal misticismo e dalla tolleranza; l'Esercito della Salvezza, di origine britannica,dedito in modo particolare all'assistenza sociale; e, infine, diverse"Chiese libere" non radicate in una specifica tradizione protestante e sorte nel nostro paese dopo l'unità, in alcuni casi direttamente al seguito delle armate garibaldine. L’aggettivo "evangelicale" (in inglese evangelican non indica alcuna Chiesa in particolare, ma una corrente ampiamente diffusa nel mondo evangelico, che si contraddistingue per l'adesione letterale ai contenuti biblici,la difesa dei dogmi tradizionali erosi dallo studio scientifico della Bibbia, il conservatorismo morale e un grande impegno nell'evangelizzazione, spesso mediante un forte appello all'emotività religiosa. Gli evangelicali si definiscono di solito semplicemente "evangelici", il che può dare adito a equivoci. I pentecostali devono il loro nome al dono dello Spirito Santo fatto agli apostoli durante la festività ebraica della Pentecoste (in Atti degli apostoli, 2,1-5): aspetto centrale di questo movimento, sorto negli Stati Uniti già ai primi del Novecento e oggi in notevole espansione in tutto il mondo, è infatti il rinnovamento interiore operato dallo Spirito. Le tendenze evangelicali e pentecostali si sposano spesso (ma non sempre) con posizioni conservatrici in campo sociale e politico.

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