Riforma
protestante e Riforma cattolica
Non solo umanisti
come Erasmo, ma anche teologi, laici devoti, settori del clero e degli ordini
religiosi denunciavano, soprattutto nell'Europa settentrionale, la corruzione e
l'inadeguatezza culturale del clero, l'ignoranza religiosa e la superstizione
del popolo, l'intreccio tra ministero episcopale, interessi politici ed
economici. Il Papato era bersaglio di critiche per il suo stile di vita mondano
e raffinato, privo di scrupoli in politica e disimpegnato sul terreno
religioso. Molti chiedevano una profonda riforma sia nella gerarchia sia nel
popolo cristiano. La mancata risposta a questi appelli diede carattere
esplosivo alla Riforma protestante.
La Riforma
protestante è l'insieme delle vicende che, nella prima metà del Cinquecento, condusse
alla divisione della cristianità occidentale. L'Europa settentrionale aderì al protestantesimo,
soprattutto nelle confessioni luterana e calvinista, mentre l'Europa
meridionale restò in prevalenza cattolica. La Riforma tentò di restituire al
cristianesimo la purezza delle origini: lo fece ponendo la Bibbia come
fondamento esclusivo di un nuovo modo di intendere la fede.
La Controriforma è la reazione cattolica alla
minaccia protestante. Consistette sia in un insieme di misure repressive, sia
in una più rigorosa definizione della dottrina e della disciplina della Chiesa.
La Chiesa di Roma, respingendo il riferimento esclusivo alle Scritture tipico
dei protestanti, riaffermò il ruolo della «Tradizione» e della gerarchia ecclesiastica.
L'espressione "Riforma cattolica" indica il rinnovamento interno (non
riducibile alla lotta antiprotestante) della Chiesa cattolica in quel periodo.
La separazione tra
cattolici e protestanti ha segnato profondamente la cultura e la storia del
nostro continente e, di riflesso, del mondo intero. Solo negli ultimi decenni, grazie
al movimento ecumenico, la Chiesa cattolica e le Chiese nate dalla Riforma hanno
ripreso il dialogo e ritrovato un certo grado di accordo teologico.
Lutero
Protagonista della prima
fase della Riforma fu il monaco agostiniano tedesco Martin Lutero (Martin
Luther, 1483-1546). Solo la fede, secondo Lutero, può rendere l'uomo giusto
agli occhi di Dio, consentendogli di giungere alla salvezza. Il contenuto
fondamentale della fede è l'annuncio centrale del Nuovo Testamento: Gesù, il
Figlio di Dio, è morto e risorto per espiare i nostri peccati. Chi crede questo
è giusto e salvo. A "giustificare", cioè a rendere giusti, non sono
le opere, neppure le penitenze straordinarie (digiuni, veglie, mortificazioni
corporali) dei monaci. Dio solo può farlo, mediante la grazia (dal latino
gratis, che indica un dono concesso senza nulla in cambio), ovvero il Suo agire
misericordioso. La giustificazione mediante la fede proposta da Lutero
intendeva riaffermare la centralità della grazia, secondo la prospettiva originaria
del Nuovo Testamento.
Il 31
ottobre 1517 Lutero affisse a Wittenberg le celebri 95 tesi «sull'efficacia
delle indulgenze». La gerarchia ecclesiastica aveva la facoltà di usare il
cosiddetto "tesoro della Chiesa" (i meriti di Cristo e dei santi) a
beneficio dei vivi e dei morti, per abbreviare o annullare le pene del
Purgatorio: erano queste le «indulgenze». La loro predicazione degenerava
talvolta in forme grossolane, in cui la Chiesa sembrava disporre a proprio
piacimento della misericordia divina e, per così dire, delle chiavi dell'Aldilà,
anche dietro versamento di denaro. Lutero criticava duramente tutto ciò. Le sue
tesi furono presto tradotte in tedesco e, grazie alla stampa, diffuse in tutta
la Germania.
Ebbero
vasto consenso, anche per ragioni teologicamente meno profonde, perché facevano
appello al radicato malumore verso la ricchezza e la corruzione del clero. Le reazioni
della Chiesa romana indussero Lutero a credere che non questo o quel cattivo papa,
ma il Papato in quanto tale era non solo estraneo, ma anche radicalmente ostile
al cristianesimo: il papa era l'Anticristo in persona, l'oscura figura
profetizzata da vari testi biblici (il libro del profeta Daniele, i brani
apocalittici dei Vangeli e di Paolo). Nel 1521 Lutero fu scomunicato. Lutero
auspicava un ritorno alla Chiesa delle origini e metteva in discussione
l'intera struttura gerarchica della Chiesa tardomedievale. Non respingeva
indiscriminatamente la tradizione (i concili antichi, i Padri, soprattutto
l'amato Agostino), ma la subordinava in modo assoluto alla Parola di Dio (che
annuncia la grazia): essa era l'unico fondamento della Chiesa. Il
protestantesimo avrebbe poi codificato questo messaggio nella formula sola gratia,
sola fide, sola Scriptura ("con la sola grazia, con la sola fede, con
la sola Bibbia"): la salvezza non ha altro fondamento che la grazia di
Dio, accolta dalla fede e rivelata attraverso la Bibbia. Questa non richiede
interpreti ufficiali (la gerarchia ecclesiastica), perché è chiara di per sé, è
«interprete di se stessa»: per comprenderne il senso il credente è illuminato
dallo Spirito Santo.
Lutero
rilesse in questa chiave i sacramenti, con esiti radicali: dei sette codificati
dalla Chiesa medievale solo due, il battesimo e la cena del Signore (l’eucaristia),
reggevano il vaglio della Scrittura e risultavano biblicamente fondati. La cena
andava somministrata anche ai laici sotto le due specie del pane e del vino,
prima riservate al clero (come era già stato sostenuto cent'anni prima dal
riformatore boemo Jan Hus, mandato al rogo dal concilio di Costanza nel 1415)[1].
Il sacramento dell'ordine doveva essere abolito: le Chiese della Riforma
avrebbero continuato a consacrare pastori, ma il ministero non avrebbe fatto di
loro dei mediatori di tipo sacerdotale.
Per
Lutero la Chiesa è, infatti, «apostolica» quando è fedele all'insegnamento
degli apostoli, non per la continuità ininterrotta dei vescovi sin dall'età
apostolica. È «cattolica» perché è presente in tutto il mondo e professa la
vera fede, non perché subordinata al papa, del cui primato la Bibbia non parla
(Lutero lo riconduce all'ideologia imperiale dell'antica Roma). Il dissenso non
era dunque contro la Chiesa, ma sulla concezione di Chiesa. La nuova
Chiesa fu detta evangelica (poi "luterana", con un termine che a
Lutero non sarebbe piaciuto). II termine "protestante" risale alla protestatio
("solenne dichiarazione", dal verbo latino protestari) di
fedeltà «alla Parola di Dio» che i principi sostenitori di Lutero presentarono
all'imperatore Carlo V alla dieta di Spira del 1529. Stando all'etimologia, non
esprime dunque una "contestazione", ma la volontà di professare senza
compromessi e distorsioni l'essenziale
della fede (evangelo della grazia).
La
traduzione della Bibbia in tedesco fatta da Lutero, un capolavoro letterario, fu
lo strumento essenziale per mettere la Scrittura nelle mani di ogni credente.
Ma occorreva innanzitutto saper leggere: la Riforma in Germania promosse così
una rete capillare di «scuole cristiane». Per trasmettere i fondamenti elementari
del cristianesimo al popolo Lutero compose catechismi, spiegazioni semplici e
sistematiche della fede in domande e risposte. Per superare il carattere "magico"
e oscuro della messa cattolica in latino, passò al tedesco e promosse la
partecipazione dei fedeli attraverso il canto. Lui stesso compose, spesso su
melodie popolari, numerosi inni. Lo scopo di queste iniziative era riaffermare
la dignità del semplice cristiano laico. Lutero respingeva l'ideale medievale
di perfezione del monachesimo: la «maledetta tonaca» per lui non copriva altro
che ipocrisia e autogiustificazione. Ciascuno infatti risponde alla chiamata o
vocazione di Dio compiendo il proprio compito o «professione» nel mondo, per
umile che sia. Prendendo lui stesso moglie nel 1525, Lutero faceva più che una
scelta privata: inaugurava un nuovo modello di vita cristiana nel mondo. La
Riforma attuò, ancora all’interno della cristianità medievale, una
secolarizzazione cristiana. La fede restava l'anima di una società sottratta al
controllo della Chiesa di Roma, ma anche al fascino dell'ideale clericale e
monastico del Medioevo.
Lutero
bollò con parole di fuoco la ragione e la filosofia, a cominciare dall'«empio
maestro» Aristotele, che voleva bandire dalle università. Ma gli strumenti
filosofici e lo stesso Aristotele furono ben presto reintegrati nella nuova
teologia dall'amico e collega prediletto di Lutero, Filippo Melantone (nome
grecizzato di Philipp Schwarzerd, 1497-1560), protagonista della
riorganizzazione del sistema universitario in Germania. La polemica di Lutero
prendeva di mira in primo luogo i «sofisti», i teologi scolastici, accusati di
una proterva speculazione razionalistica su Dio. Questa ragione,
metafisica e teologizzante, aveva messo «sotto la panca» il modo biblico di
parlare di Dio (narrativo e storico) e si dimostrava cieca di fronte a Lui. Ma
la ragione come tale restava - per decreto divino - una valida guida nel
mondo terreno, nella vita familiare, sociale, economica. Proprio nella Germania
protestante del primo Ottocento si sarebbe sviluppata una spregiudicata critica
biblica di tipo razionalista, che sarebbe giunta a ridurre a mito verità
fondamentali della fede, come la credenza in Cristo uomo-Dio e la sua
risurrezione.
Lutero
emancipò la politica dalle ingerenze ecclesiastiche, ma continuò a concepirla secondo
il modello a lui più familiare: i principati feudali. Ostile alla
partecipazione popolare al governo, nel 1525 condannò aspramente la rivolta contadina
che scosse dalle fondamenta il mondo tedesco e incoraggiò la durissima
repressione dei prìncipi. Pur non essendo insensibile alle richieste sociali
dei contadini, provava orrore per l'insurrezione contro l'autorità stabilita da
Dio. Di fatto, nel mondo luterano (Germania e Scandinavia) prìncipi e sovrani,
venuta meno la guida papale, subentrarono ai vescovi nel controllo della
Chiesa. Lutero si era battuto non per la libertà politica, ma per la libertà
del cristiano, per il suo affrancamento spirituale dal peso opprimente del
peccato e dalle «leggi arbitrarie» (indulgenze, diritto canonico, privilegi ecclesiastici)
della «Chiesa del papa». Non era poco, in un'epoca in cui peccato e reato erano
la stessa cosa e in molti campi (matrimonio, economia, finanza, scuola, università)
la Chiesa esercitava un'influenza enorme. La Riforma trasformò il mondo interiore
e l'esperienza ecclesiale (e di riflesso la vita quotidiana) di milioni di uomini
e donne. Ma il suo esito immediato non fu certo la libertà politica o
l'emancipazione personale in senso moderno.
La Riforma in Svizzera: Zwingli e
Calvino
Nella
diffusione della Riforma, la Svizzera ebbe un ruolo cruciale, inizialmente
attraverso la predicazione del prete e umanista Huldrych Zwingli (1484- 1531),
che introdusse a Zurigo una riforma molto più radicale di quella di Lutero.
Zwingli concepiva la riforma della Chiesa come un rinnovamento dell'intera
società cristiana: per questo si batté, ad esempio, contro la povertà e il
mestiere del soldato mercenario, espediente allora comune, in Svizzera, per
guadagnarsi da vivere nelle misere aree montane. Eliminò
dal culto ogni aspetto che ricordasse la «superstizione papista» (così i
protestanti chiamavano il cattolicesimo romano), compresi le immagini sacre, la
musica e il canto. La fede, infatti, per Zwingli doveva nascere dall'ascolto
della nuda Parola, non inquinata da pratiche che la Bibbia condanna come
idolatria, ossia falso culto della divinità.
Ben
più vasta e duratura fu l'influenza della riforma promossa dal francese
Giovanni Calvino (Jean Calvin, 1509-1564). Dopo studi umanistici e giuridici,
Calvino si accostò alle idee di Lutero e, al seguito di Guillaume Farel
(1489-1565), introdusse la Riforma a Ginevra. Eliminò dalla Chiesa ogni traccia
di gerarchia non attestata dalla Bibbia, stabilendo come unici ministri i pastori,
gli anziani (laici autorevoli) e i diaconi (addetti a servizi
assistenziali). A differenza di Lutero, non conservò la struttura esterna della
messa cattolica, ma la sostituì con un culto evangelico fondato sul solo
ascolto della Parola e sulla predicazione. Condannò severamente il culto dei
santi e proibì qualunque raffigurazione del divino: statue e affreschi furono
ovunque rimossi dalle chiese calviniste, trasformate in aule disadorne, adatte
all'ascolto della sola Parola, senza distrazioni.
I
capisaldi della teologia di Calvino, esposti nell'opera Istituzione della
religione cristiana (Institutio
religionis christianae, 1536), sono la gloria di Dio e la
predestinazione. La creazione è il teatro in cui si manifestano l'onnipotenza e
la saggezza del Creatore; ogni opera di Dio ne tesse le lodi, in particolare l'uomo,
creato a sua immagine. Tuttavia il peccato originale ha completamente guastato l'immagine
divina nell'uomo: lasciato a se stesso, egli è nel peccato. Dio solo,
dall'eternità, ha stabilito chi, credendo in Gesù Cristo, sarà salvo e chi sarà
dannato. Non solo lo sa (ne ha prescienza), ma è anche la causa diretta
della salvezza degli uni e della dannazione degli altri: apre il cuore di un
uomo alla grazia, indurisce quello di un altro. All'obiezione che questo è
ingiusto, Calvino risponde che Dio è Dio, e Lui solo stabilisce ciò che è bene
e ciò che è male. La distinzione fra bene e male, quindi, non esiste prima di
Dio e indipendentemente da Lui come qualcosa a cui Egli si debba conformare.
Buono e giusto è ciò che Dio vuole, per quanto incomprensibile possa apparire
alla limitata ragione umana.
Calvino
condivide le tesi sostenute da Lutero nel De servo arbitrio (Sull'arbitrio schiavo, 1525), ampia
replica al De libero arbitrio (1524) in cui Erasmo da Rotterdam
difendeva la libertà umana. Per ambedue i riformatori, l'uomo è spinto
da Dio a scegliere volontariamente - benché non liberamente - la
salvezza o la dannazione per lui decretate. Insistendo sulla predestinazione, la Riforma si opponeva
totalmente alla visione antropocentrica
dell'Umanesimo: al centro di tutto è la gloria di Dio, non la dignità
dell'uomo. E nelle mani di Dio
i riformatori volevano riportare interamente il destino dell'uomo,
sottraendolo sia alla
mediazione della Chiesa sia all'impegno morale individuale.
Il
calvinismo considera le opere umane irrilevanti per la salvezza. Eppure
non generò nei credenti passività o fatalismo, ma un forte impegno ad agire nel
mondo. Una vita moralmente buona, ordinata, operosa, produttiva è infatti un
segno (non una causa) dell'elezione, cioè della scelta, da parte di Dio: Dio
trasforma l'intera vita dei suoi eletti non solo giustificandoli, ma anche santificandoli,
come singoli e come comunità. Questa trasformazione doveva essere visibile: a
tal fine Calvino attuò a Ginevra una profonda riforma della società cristiana,
combattendo l'analfabetismo e la sporcizia, e assoggettando a restrizioni e
divieti le taverne, il ballo, il teatro, le vesti considerate troppo sgargianti
o provocanti, il parlare osceno e, al di sopra di tutto, la bestemmia (per un calvinista
è bestemmia il solo nominare il nome di Dio senza la dovuta reverenza).
Estremo
rigore Calvino mostrò anche nella lotta contro l'eresia, culminata nel rogo, da
lui approvato, del medico e teologo spagnolo Michele Serveto (Miguel Servet,
1511-1553), colpevole di negare la Trinità. Tuttavia, nello stesso mondo
protestante non mancarono critiche. L'umanista Sébastien Castellion (1525-1563),
nell'opuscolo Se si debbano perseguitare gli eretici (De haereticis an sint
persequendi, 1554), obiettò che l'incertezza della conoscenza umana
intorno a Dio impone che si ammettano diverse opinioni. L'idea della
tolleranza, allora sottoscritta da una ristretta minoranza, era destinata a un
grande futuro.
Ginevra
divenne il prototipo della città rinnovata dalla fede, la «repubblica dei santi»,
un ideale che eserciterà un'influenza profonda sulla storia politica. Come
Lutero, Calvino era l'antitesi del rivoluzionario: l'obbedienza era per lui il
dovere fondamentale del cristiano. Ma il più dinamico contesto urbano e
commerciale in cui viveva lo spinse a una maggiore apertura verso le forme
repubblicane e soprattutto a porre un preciso limite all'autorità politica, in
nome dei superiori diritti di Dio. In casi estremi, pensava Calvino, per il
cristiano è lecito, anzi doveroso, insorgere contro un'autorità apertamente
idolatra.
In
base a questi principi il calvinismo ispirò teorie politiche antiassolutistiche
e fornì la giustificazione religiosa di rivoluzioni che scoppiarono tra Sei e
Settecento in Olanda, Scozia, Inghilterra (e nelle sue colonie americane).
Ovunque i calvinisti – dai puritani inglesi in lotta contro la monarchia ai
valdesi italiani, che aderirono alla Riforma nel 1532 - mostrarono grande
combattività e tenacia anche in condizioni avverse, convinti di essere
predestinati dal Signore a lottare in questo mondo per la Sua gloria.
La riforma radicale: gli anabattisti
Una
riforma di carattere ben più radicale fu promossa da numerosi movimenti
religiosi. Data la profonda compenetrazione tra istituzioni politiche e
religiose, le nuove interpretazioni della fede avevano spesso conseguenze
sociali e politiche rivoluzionarie. È il caso degli «anabattisti». Con questo
termine generale (derivato dal greco: significa "battezzati di
nuovo") ci si riferisce ai gruppi che negavano il valore del battesimo dei
neonati, in quanto incapaci di intendere e di volere, e ripetevano il battesimo
da adulti, convinti che la fede fosse una scelta consapevole, che solo una
persona matura può compiere. Gli anabattisti concepivano la Chiesa come una comunità
di eletti, una minoranza santa e separata dalla massa dei miscredenti, dei
papisti e dei protestanti di diverso orientamento, tutti destinati alla
perdizione.
In
quanto «santi di Dio» si consideravano estranei allo Stato, istituzione pagana.
Attribuivano grande importanza alla santificazione che Dio opera nei suoi
eletti: i cristiani non vivono come tutti, ma accolgono alla lettera il messaggio
radicale del discorso della montagna di Gesù (Matteo 5-7): di qui,
spesso, il ripudio della violenza, sino al rifiuto del servizio nell'esercito e
dello stesso potere dei magistrati; di qui anche il rifiuto di prestare giuramento,
che era il vincolo di lealtà politica proprio della società feudale. Taluni
gruppi anabattisti, come quelli che nel 1535 furono annientati nella città
tedesca di Munster, respingevano anche la proprietà privata, in nome della
comunione dei beni della Chiesa primitiva.
Per
questa carica eversiva gli anabattisti, anche i più miti, furono perseguitati
senza pietà in tutta Europa. Nasceva così una tradizione: minoritaria del
protestantesimo, che avrebbe portato sino ai giorni nostri alcune istanze
etiche centrali del cristianesimo delle origini: la nonviolenza e un
egualitarismo radicale capace di andare oltre le barriere della condizione
sociale e persino del genere. In alcuni gruppi, infatti, le donne furono
ammesse al ministero ecclesiastico, che solo qualche decennio fa è stato aperto
alle donne da luterani e riformati, ed è tuttora negato dalla Chiesa cattolica.
Controriforma e Riforma cattolica
Alla
minaccia protestante la Chiesa cattolica reagì con la Controriforma. Il termine
indica l'insieme delle iniziative con cui contrastò la diffusione del
protestantesimo nei secoli XVI e XVII. Fu attuata sia attraverso misure
repressive sia attraverso una più rigorosa definizione della dottrina e della
disciplina della Chiesa. Poiché l'attività della Chiesa non si ridusse alla
repressione, è meglio parlare di «Riforma cattolica», intendendo con questa
espressione il suo rinnovamento interno, non riducibile alla lotta
antiprotestante. Già da tempo, infatti, molti cattolici invocavano una profonda
riforma nelle gerarchie e nel popolo cristiano.
Il
concilio di Trento, celebrato tra il 1545 e il 1563 con lunghe interruzioni,
segnò l'avvio della Controriforma e diede un impulso decisivo al rinnovamento
della Chiesa. Determinò in misura rilevante il destino della Chiesa nei secoli
successivi, per molti aspetti sino a oggi. La sfida dei protestanti costrinse
la Chiesa romana a ridefinire profondamente la propria identità. I decreti (le
decisioni conciliari) di Trento chiarirono punti dogmatici (sulla
dottrina della fede) e fornirono direttive disciplinari (relative
all'organizzazione ecclesiastica).
In
campo dogmatico il concilio riaffermò il valore della Tradizione come tramite della
Rivelazione accanto alla Bibbia, in opposizione alla sola Scriptura protestante.
La Rivelazione di Dio in senso stretto non ha altra fonte che la Bibbia, ma il
senso della Bibbia deve essere spiegato ai fedeli dalla gerarchia ecclesiastica
(il papa, i vescovi, il clero), che si attiene alle autorevoli interpretazioni
bibliche del passato (concili, papi, Padri della Chiesa). Senza la Tradizione,
proclamò il concilio, la Bibbia sarebbe muta o, peggio, in balla di
interpretazioni arbitrarie. Fu dunque deciso di riconfermare la validità della Vulgata
di san Girolamo (una traduzione latina della Bibbia della fine del IV secolo)
come testo ufficiale della Sacra Scrittura, sebbene la filologia umanistica ne
avesse ampiamente mostrato le imperfezioni.
Dopo
Trento la lettura del testo sacro da parte dei laici fu, se non apertamente sconsigliata,
quantomeno guardata con sospetto. Già il latino costituiva un'invalicabile barriera
per la stragrande maggioranza dei cristiani; ma anche per i colti la lettura autonoma
della Bibbia era insolita o pericolosa. Basti pensare al caso di Galileo,
colpito da censura ecclesiastica non solo per la sua adesione al
copernicanesimo, ma anche per la sua pretesa di suggerire, da semplice laico,
alcuni criteri di esegesi biblica. Le stesse lingue e letterature dei paesi
cattolici attinsero meno del mondo protestante alla Scrittura come fonte di
narrazioni, forme espressive, metafore. Il saldo controllo esercitato dalla
gerarchia sull'interpretazione del testo bloccò alla radice lo sviluppo nel
mondo cattolico di forme di radicalismo politico-religioso, che furono invece frequenti
nel mondo protestante[2].
In
opposizione alla dottrina protestante della giustificazione per fede, il
concilio di Trento riaffermò la doppia radice della giustificazione: sia la
fede sia le opere. Il credente collabora alla salvezza e
acquisisce un merito, che consiste innanzitutto nella libera adesione
alla fede e, successivamente, nelle opere buone che compie. Come i protestanti,
i padri conciliari riconoscevano come finte prima della salvezza la
grazia di Dio, ma riaffermavano il libero arbitrio (negato tanto da Lutero
quanto da Calvino): il battesimo cancella ogni traccia del peccato originale,
reintegrando l'uomo nell'innocenza che fu di Adamo ed Eva nel giardino
dell'Eden.
Il
concilio confermò anche i sette sacramenti. Riaffermò poi l'ordine come autentico
sacramento istituito da Cristo, contro la negazione protestante della
distinzione tra clero e laici. Nella dottrina dell'eucaristia approvò la teoria
tomista della transustanziazione: la presenza reale di Cristo nel pane e nel
vino e il ministero sacerdotale si sostengono reciprocamente; solo la
consacrazione compiuta dal prete rende attuale in ogni messa il sacrificio
della Croce.
Il
concilio non sposò una determinata scuola filosofica o teologica, ma i suoi
decreti dogmatici (cioè le decisioni sulla dottrina della fede) influenzarono
profondamente l'orientamento della Chiesa nei secoli successivi. Fu confermata
l'adesione alla prospettiva tomista, nella quale fede e ragione erano distinte,
ma armonizzabili. La fede, a sua volta, era affidata alla vigilanza della
Chiesa, la quale si riservava così un preciso ruolo culturale, almeno nel
definire i quadri generali entro cui la «retta ragione» dovrebbe operare. Questo
modello (ovviamente aggiornato) è giunto sino a noi: ne è un esempio un documento
ufficiale come l'enciclica Fides et ratio di Giovanni Paolo II (1998).
Per
contrastare la diffusione dell'eresia la Chiesa istituì l'Indice dei libri proibiti (1559), un elenco delle opere
teologiche, filosofiche, scientifiche e letterarie giudicate eretiche o
immorali, che erano vietate ai cattolici e destinate al rogo. li tribunale
dell'Inquisizione, con sede centrale a Roma e rinnovato rispetto
all'Inquisizione medievale, ebbe il compito di individuare e giudicare
gli eretici. Fu riaffermata la legittimità della venerazione dei santi,
che i protestanti respingevano come idolatria. Nello stesso tempo aumentava il
controllo della Chiesa sulla devozione popolare, perché non degenerasse
in forme di superstizione magica. Alla
venerazione dei santi era legata la devozione alle immagini sacre,
parimenti confermata.
In
opposizione al richiamo esclusivo alla Parola, caratteristico degli evangelici,
il concilio valorizzava soprattutto il linguaggio figurativo. Nell'età della
Controriforma, la Chiesa cattolica si fece committente di innumerevoli opere
d'arte (chiese, affreschi, statue) volte a celebrare la gloria di Dio e della
Chiesa attraverso un'esteriorità "teatrale" che i protestanti - in
modo particolare i calvinisti - respingevano.
Il
concilio riaffermò l'obbligo del celibato. Istituì i seminari, convitti per la
formazione culturale e religiosa dei futuri preti. La Chiesa si garantiva in
tal modo un clero dotato di un buon grado di preparazione filosofica e
teologica (su fondamenti tomisti), e soprattutto fedele alle direttive della
gerarchia. In società in cui non di rado più del 90% della popolazione era
analfabeta, si formava una classe di intellettuali destinati a essere punto di
riferimento e mediatori di conoscenze anche nelle aree più remote. Il clero fu
una delle strutture portanti della società cattolica europea, anche quando (nel
Settecento e nell'Ottocento) parte di esso fu coinvolta nell'elaborazione e
nella diffusione di idee illuministiche e liberali, più o meno in contrasto con
la dottrina ufficiale della Chiesa.
Un
contributo decisivo alla repressione delle eresie e alla Riforma cattolica
venne dal nuovo ordine della Compagnia di Gesù (i gesuiti), fondato nel 1540
dallo spagnolo Ignazio di Loyola (149 1-1 556), che volle farne le "truppe
scelte" della Chiesa, da schierare in prima linea nella lotta contro gli
eretici e nella conquista di anime al cattolicesimo.
Al
rifiuto protestante dell'obbedienza alla gerarchia, i gesuiti risposero
aggiungendo ai tre voti religiosi (povertà, castità, obbedienza) quello
dell'obbedienza totale al pontefice romano. Rigorosa formazione ascetica e
accurata preparazione filosofica e teologica caratterizzarono sin dagli inizi
la Compagnia di Gesù. La sua predicazione, coordinata con l'azione militare
degli Stati cattolici, riconquistò alla Chiesa di Roma intere regioni passate
al protestantesimo (in Austria, nella Germania meridionale e nell'Europa
orientale).
I
gesuiti si distinsero anche nelle missioni in Asia e nelle Americhe, dove si
impegnarono a guadagnare a Cristo i "pagani". Nelle terre più lontane
da Roma avviarono esperienze profondamente innovative: tradussero nelle lingue
locali anche i testi liturgici, compiendo audaci tentativi - non sempre graditi
a Roma - di presentare la fede cristiana in termini culturali accettabili nella
visione del mondo di altri popoli (Cina, Giappone, nativi americani).
In
Europa si concentrarono sulla formazione delle classi dirigenti, soprattutto
attraverso la scuola superiore e l'università. Nei convitti gesuitici i figli
dei nobili e dell'alta borghesia ricevevano una solida preparazione culturale
di tipo umanistico e religioso, per diventare, una volta adulti, una classe
dirigente docile alla gerarchia. Attraverso la confessione e la direzione
spirituale, i gesuiti esercitarono un'influenza profonda sugli stessi sovrani cattolici.
Grande importanza ebbero le università gesuitiche, in cui fu sviluppato il
pensiero di Tommaso d'Aquino; furono centri di alta cultura, soprattutto nelle scienze.
La
Riforma cattolica conobbe altre forme di rinnovamento “dal basso", ben
prima dei decreti di Trento. Sorsero nuovi ordini religiosi (i teatini, i
fatebenefratelli, i barnabiti, i somaschi), mentre altri venivano rinnovati
(come i cappuccini, sorti dalla riforma dell'ordine francescano).
Essi
diedero impulso all'evangelizzazione, tanto nella predicazione popolare quanto
nelle missioni, e alle attività caritative. Nei paesi cattolici l'assistenza a
poveri, malati, orfani, vedove, soggetti marginali o, come si direbbe oggi,
"devianti" rimase a lungo affidata quasi esclusivamente alla Chiesa.
Riforma Controriforma e filosofia
Le
controversie teologiche e i conflitti politici e sociali che le accompagnarono
non potevano non avere conseguenze importanti sulla filosofia, la quale aveva
da sempre affrontato il tema del rapporto fra Dio e l'uomo. Innanzitutto, il
confine fra teologia e filosofia era a quei tempi ancora più incerto di oggi.
In secondo luogo, l'intolleranza che tali conflitti fomentarono e le guerre di
religione che insanguinarono l'Europa fecero sorgere sia in campo cattolico sia
soprattutto in campo protestante il desiderio di una concordia fra i cristiani
fondata sulla ragionevolezza comune a tutti gli uomini e le prime idee sulla
tolleranza religiosa.
Gli
eventi politici imposero nuovi elementi alla riflessione dei filosofi sullo
Stato e le forme del governo e della convivenza. La rivendicazione protestante
della libertà del credente nel rapporto con la Scrittura stimolò lo sviluppo di
una nuova disciplina, la critica biblica, con la conseguenza di una continua
rilettura e interpretazione del testo sacro come fonte di riflessione
filosofica.
Aspetti
decisivi della filosofia e della cultura in paesi come la Germania e la Gran
Bretagna non sarebbero comprensibili se si prescinde dalle conseguenze della
Riforma. Allo stesso modo, la presenza della Chiesa cattolica, la Controriforma
e la Riforma cattolica condizionarono la vita culturale nei paesi, fra cui in
primo luogo l'Italia, dove il protestantesimo fu represso. Nacque allora la
figura dell'intellettuale, cattolico o protestante, costretto a emigrare in
cerca della libertà che gli era negata in patria.
Cattolici e protestanti oggi
I
rapporti tra la Chiesa cattolica e le Chiese protestanti, per secoli segnati da
fiera ostilità (in particolare durante le guerre di religione dei secoli XVI e
XVII), hanno conosciuto negli ultimi decenni una profonda trasformazione. La
novità più rilevante è il movimento ecumenico: in una parola, le grandi Chiese
storiche (cattolica, protestanti, ortodosse) sono passate dalle reciproche
condanne al dialogo, nello sforzo di recuperare l'unità visibile. Il movimento
ecumenico è sorto in ambito protestante e qui ha raccolto i primi successi: nel
1948 è nato il Consiglio ecumenico delle Chiese, che raccoglie ben 317 Chiese
protestanti e ortodosse e dialoga con la Chiesa cattolica. Alcune tappe
meritano di essere ricordate: riformati e luterani, per secoli divisi da
divergenze dottrinali, con la «Concordia di Leuenberg» (1973) sono arrivati al
pieno riconoscimento reciproco. L'ingresso ufficiale della Chiesa cattolica nel
movimento ecumenico si può far coincidere con il decreto Unitatis
Redintegratio (Ricomposizione
dell'unità) del Concilio Vaticano II (1964). Nel 1999 cattolici e
luterani hanno sottoscritto ad Augusta (Germania) una dichiarazione di accordo
sulla giustificazione, la questione cruciale che divise le Chiese all'epoca
della Riforma.
Ma
sulla strada dell'unità restano ostacoli molto gravi: innanzi tutto, i diversi
modi d'intendere l'autorità esercitata dalla Chiesa e in particolare il ruolo
del papa; i sacramenti; l'impostazione talvolta divergente su grandi questioni
morali (in prima linea la sessualità e la bioetica). Nella Chiesa cattolica
prevale tuttora la tendenza a scendere nei particolari nelle prescrizioni
etiche, mentre le Chiese protestanti storiche preferiscono fare appello alla
coscienza individuale. Il quadro si complica ulteriormente se si considerano i
movimenti neoconservatori in pieno sviluppo sia in ambito cattolico sia nel
mondo protestante (evangelicali, pentecostali)[3]:
per quanto divisi sul piano dottrinale e poco o per nulla interessati al
dialogo ecumenico, questi movimenti sono infatti accomunati dal rifiuto del
mondo moderno e dal conservatorismo in campo morale .
[1] La
controversia sull'eucaristia
Seppure concordi nell'esigenza di un
rinnovamento della cristianità, i riformatori erano divisi fra loro su questioni
liturgiche e teologiche. La controversia più importante fu quella
sull'eucaristia. Lutero manteneva la dottrina cattolica della presenza reale,
fisica, di Cristo nella santa cena. Mentre però Tommaso d'Aquino sosteneva che
le sostanze del pane e del vino si trasformano nel corpo e nel sangue di Cristo
(transustanziazione, ovvero trasformazione di una sostanza in un'altra), Lutero
affermava che il pane e il vino restano tali, pur divenendo anche il
corpo e il sangue di Cristo (consustanziazione, cioè fusione di due sostanze in
una). Per Zwingli, invece, la santa cena è solo una memoria simbolica della
passione di Gesù. In un incontro del 1529, i due riformatori si scontrarono
aspramente su questo solo punto. Calvino rifiutò sia il simbolismo assoluto di
Zwingli sia la concezione di Lutero, che gli sembrava troppo vicina a quella
cattolica: Cristo risorto è in cielo, pensava, non nell'ostia; nella cena è
presente in modo spirituale. Queste divergenze, che oggi potrebbero sembrare
sottigliezze, divisero per secoli le Chiese luterane dalle
"riformate" (termine, quest'ultimo, che indica la tradizione calvinista
e non tutte le Chiese sorte dalla Riforma), e furono causa di conflitti anche
politici. Si trattava, infine, di questioni di rilevanza filosofica, oltre che
teologica. La dottrina della transustanziazione si fondava infatti sulla distinzione
aristotelica fra sostanza e accidenti. Una distinzione che avrebbe fatto
sembrare pericolosa per la fede la teoria galileiana della materia.
[2] Fondamentalismo
L’assenza di un'autorità centrale ha favorito
nel protestantesimo forme di religiosità molto diverse fra loro, alcune
molto aperte agli sviluppi della cultura non religiosa, altre molto
meno, altre infine nettamente ostili, come quelle che tuttora contrappongono
all'evoluzionismo l'interpretazione letterale del racconto biblico della
creazione. Un tentativo di porre un limite all'''anarchia interpretativa"
che ha caratterizzato spesso il rapporto fra le confessioni protestanti e la
Bibbia è rappresentato dal cosiddetto «fondamentalismo»; una difesa dei
principi tradizionali ("biblici") contro il movimento iniziato con la
critica biblica tedesca. Il termine deriva dai Fundamentals (I fondamenti), una
serie di trattati di vari autori che furono pubblicati negli
Stati Uniti fra il 1910 e il 1915 su vari temi religiosi, fra cui il rapporto
fra scienza e fede e fra cristianesimo ed evoluzionismo. Gli
autori rappresentavano una vasta
gamma di opinioni, spesso in contrasto fra loro. Alcuni sostenevano posizioni
molto intransigenti. Da allora il termine designa comunemente, anche
se non correttamente, un integralismo religioso (non solo
cristiano) che si attiene all'interpretazione letterale dei testi
sacri e si oppone agli sviluppi della scienza e della cultura che li mettono
in discussione. Alcuni gruppi fondamentalisti americani sono
diventati noti in tutto il mondo per le loro prese di posizione intransigenti,
non di rado accompagnate da atti violenti, su problemi come l'aborto, i diritti
delle donne, l'omosessualità.
[3] Evangelici,
evangelicali, pentecostali
Il termine "evangelico", riferito a
Chiese o gruppi di credenti, è sinonimo di "protestante". In Italia
sono presenti diverse comunità evangeliche: innanzitutto, i valdesi; inoltre, i
metodisti, sorti nella seconda metà del XVIII secolo per iniziativa del pastore
anglicano John Wesley e ampiamente presenti in Gran Bretagna e negli Stati
Uniti; i battisti, eredi sia di spunti della tradizione anabattista, sia delle
Chiese riformate, e presenti nel nostro paese in seguito a missioni
anglosassoni successive all'unità d'Italia; i luterani; i quaccheri (quakers), come vengono
chiamati i membri della "Società degli Amici" (Society of Friends), nata in Inghilterra nel XVII
secolo, una comunità caratterizzata dal rifiuto delle rigidità dogmatiche, dal
misticismo e dalla tolleranza; l'Esercito della Salvezza, di origine
britannica,dedito in modo particolare all'assistenza sociale; e, infine,
diverse"Chiese libere" non radicate in una specifica tradizione
protestante e sorte nel nostro paese dopo l'unità, in alcuni casi direttamente
al seguito delle armate garibaldine. L’aggettivo "evangelicale" (in
inglese evangelican non indica alcuna Chiesa in particolare, ma una
corrente ampiamente diffusa nel mondo evangelico, che si contraddistingue per
l'adesione letterale ai contenuti biblici,la difesa dei dogmi tradizionali
erosi dallo studio scientifico della Bibbia, il conservatorismo morale e un
grande impegno nell'evangelizzazione, spesso mediante un forte appello
all'emotività religiosa. Gli evangelicali si definiscono di solito
semplicemente "evangelici", il che può dare adito a equivoci. I
pentecostali devono il loro nome al dono dello Spirito Santo fatto agli
apostoli durante la festività ebraica della Pentecoste (in Atti degli
apostoli, 2,1-5): aspetto centrale di questo movimento, sorto negli Stati
Uniti già ai primi del Novecento e oggi in notevole espansione in tutto il
mondo, è infatti il rinnovamento interiore operato dallo Spirito. Le tendenze
evangelicali e pentecostali si sposano spesso (ma non sempre) con posizioni
conservatrici in campo sociale e politico.
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