domenica 3 febbraio 2013

Destra e Sinistra hegeliana



DESTRA E SINISTRA HEGELIANA


Hegel muore nel 1831, ma il suo pensiero rappresentò fino al 1840, la dottrina ufficiale dello Stato prussiano. Per questa ragione la scuola hegeliana diventò un vero e proprio sistema di potere all’interno del mondo universitario, tendenza fortemente favorita da Guglielmo III di Hohenzollern. Questo quadro di collaborazione idilliaca e, nello stesso tempo, competitiva all’interno della scuola hegeliana, illustrata con chiarezza da uno dei maggiori esponenti di questa scuola, Karl Rosenkranz, fu rotto

                dal contesto politico che si andava affermando in Europa;
               dalla spaccatura degli hegeliani in due principali tronconi.

Nel mondo politico europeo, infatti, l’impressione della Rivoluzione francese era ancora vivissima e rafforzata dallo scoppio nel 1830 della Rivoluzione di luglio a Parigi che aveva dato nuovo alimento a quei fermenti rivoluzionari che condurranno ai moti del ’48. Anche nella Prussia di Guglielmo III, che pure viveva una stagione di riforme politiche e istituzionali promosse dal ministro Hardenberg, i conflitti sociali si inasprirono e il clima politico si fece sempre più soffocante. La reazione trionfò con la morte, nel 1839, del ministro per l’educazione pubblica Altenstein, attivamente impegnato in una politica riformatrice, e del sovrano, nel 1840, al quale successe il figlio Federico Guglielmo IV, bigotto e furiosamente reazionario, deciso a sradicare i germi della cultura moderna laica e razionalista, e a restituire alla Prussia la fisionomia di uno “Stato cristiano”, teocratico e feudale. Il nuovo re, animato da sentimenti antihegeliani e considerando Hegel maestro di ateismo e di rivoluzione, si propose di cancellarne persino il ricordo. Si inquadra in questo clima la svolta ideologica regressiva che culminò con la chiamata a Berlino del vecchio Schelling, ormai su posizioni teistico-personalistiche chiaramente anti-hegeliane, e con la cacciata dalle università prussiane di tutti i “giovani hegeliani”, un evento che a sua volta portò alla radicalizzazione delle loro posizioni politiche. Il primo accenno del significato politico di questa frammentazione si era già avuto in una discussione proprio sul valore del liberalismo tra Hegel e il giurista Eduard Gans, esponente della scuola hegeliana e insegnante di diritto di Marx.
Pochi anni dopo la morte di Hegel, la grossa schiera dei suoi discepoli si divise in due tronconi in forte dissidio tra loro. La spaccatura della scuola fu “resa possibile dalla fondamentale equivocità dei "superamenti" dialettici di Hegel, che potevano essere interpretati tanto in senso conservatore quanto in senso rivoluzionario” (K. Lowith). Nel 1837, Strauss definirà le due correnti opposte, nate nell'ambito dell'hegelismo, come "Destra" e "Sinistra", richiamandosi esplicitamente alla disposizione del parlamento della Francia di Luigi Filippo. La Destra hegeliana, detta anche dei "vecchi", perché costituita dagli allievi storici di Hegel e per il carattere marcatamente conservatore che la contraddistinse, si opponeva alla "Sinistra", detta anche dei "giovani" hegeliani, in virtù del fatto che a comporla erano per lo più giovani progressisti nati dopo il 1800.
Due erano i punti di "disaccordo" tra Destra e Sinistra:
·  il rapporto religione-filosofia;
·  il rapporto tra razionale e reale.
Per quanto riguarda il primo punto, Hegel aveva sostenuto che la filosofia e la religione esprimessero gli stessi contenuti (cioè le stesse verità) in due forme distinte ma aveva anche aggiunto che la filosofia li esprimeva in maniera decisamente migliore. In altre parole, Hegel sosteneva la superiorità della filosofia rispetto alla religione in ambito formale e l'uguaglianza tra le due in ambito contenutistico. Di conseguenza, per Hegel, il contenuto della religione doveva essere ripreso dalla filosofia, trasformato in concetti e quindi scomparire in quanto contenuto religioso e  diventare ragione filosofica.
Rispetto al secondo punto, in Hegel trovavano il loro spazio due interpretazioni contrapposte della realtà: la prima sosteneva che la realtà, così com’è, è razionale e, in ultima istanza, giusta, dando così una colorazione conservatrice volta a legittimare il passato; la seconda sosteneva che tutto ciò che è giusto perché razionale deve essere realizzato, dando così una veste progressista al pensiero di Hegel. A seconda della prevalenza dell’interpretazione conservatrice o progressista, nata dall'ambiguità del discorso hegeliano, vengono a crearsi le due suddette tendenze.
La DESTRA, rispetto al primo punto, tendeva a sottolineare l'identità di contenuti della filosofia e della religione, avvalorando in questo modo la religione arrivando a riconoscerle la piena validità nell’ambito della sua forma (e a volte anche ad anteporre la religione alla filosofia). La Destra finiva per considerare la filosofia hegeliana compatibile con i dogmi del Cristianesimo e come lo sforzo più adeguato per rendere la fede cristiana (in particolare quella luterana) accettabile al pensiero moderno e giustificarla davanti alla ragione (da qui la definizione di “scolastica hegeliana” con cui si vuol sostenere la tendenza ad utilizzare la ragione hegeliana allo stesso modo in cui la scolastica aveva utilizzato la ragione aristotelica o la scolastica occasionalista la ragione cartesiana, cioè al fine di una giustificazione razionale delle credenze religiose). In fondo la filosofia hegeliana veniva presentata come una sorta di trascrizione in termini filosofici della teologia cristiana: idea, natura e spirito, la triade principale del sistema di Hegel, finiva per corrispondere alla Trinità. La Destra, sostenendo che Hegel aveva predicato la necessaria conciliazione tra la ragione e la fede, di fatto gli attribuiva l’idea di una subordinazione della ragione alle “verità rivelate” e un programma di teologizzazione della filosofia vincolata alla difesa della tradizione. In altre parole, la filosofia si poneva al servizio della verità religiosa e dei suoi dogmi, chiarendoli razionalmente. È chiaro che la Destra dovette epurare l’hegelismo da quegli aspetti panteistico-immanentistici che riducevano Dio ad un concetto impersonale e adattare l’idealismo alle tesi cristiane (trascendenza di Dio, incarnazione, immortalità personale, ecc…). Rispetto al secondo punto, la Destra, rifacendosi alla polemica hegeliana contro il dover essere, sosteneva l’identità ontologica tra realtà e ragione, finendo per assumere un atteggiamento globalmente giustificazionista e conservatore nei confronti dell’esistente: tutto ciò che esiste è razionale e, pertanto, non deve essere cambiato. In politica, quindi, lo Stato prussiano, con le sue istituzioni e le sue realizzazioni economiche e sociali, era da considerarsi come il punto d’arrivo della dialettica storica e la più alta realizzazione dello Spirito del mondo.
Rispetto a questo secondo punto, la Sinistra era del parere che la realtà costituisse un processo in cui ciò che sussiste, autosuperandosi incessantemente, è chiamato a farsi razionale. Mentre la Destra concepiva il superamento delle contraddizioni dialettiche come “conciliazione”, cioè come definitiva conclusione dei conflitti, portando ad una concezione della realtà come un ordine stabile e statico, la Sinistra interpreta la concezione dialettica di Hegel in termini conflittuali: il maestro aveva affermato l’irriducibilità delle contraddizioni (la loro inconciliabilità) e celebrato la potenza trasformatrice della negazione. Il superamento di una contraddizione è la premessa di nuove contraddizioni. La dialettica hegeliana così intesa sorregge una concezione dinamica della realtà intesa come divenire incessante, animata da continue lacerazioni interne che in termini sociali può implicare la rivoluzione.  In tal modo, la Sinistra, ammettendo che non tutto ciò che esiste di fatto è razionale, finiva per concepire la filosofia come critica dell’esistente, ovvero come un progetto di trasformazione progressista e, talvolta, rivoluzionaria delle istituzioni politiche contemporanee. In altre parole, la dialettica storica “inarrestabile e rivoluzionaria” non poteva essersi conclusa: la realtà così com’è non è già perfetta e razionale, ma lo deve diventare, è un ideale da conquistare. Allora, razionale non è ciò che esiste (“qui ed ora”) ma ciò che nel corso del tempo dà prova di sapersi affermare e sviluppare, che conferisce alla storia una marcia e un significato. La filosofia non è la “nottola di Minerva, che esce sul far della sera”, quando ormai la giornata, cioè il periodo storico è compiuto, ma il “canto del gallo” di una nuova aurora. In politica, in nome della dialettica, quale motore del divenire storico, la sinistra hegeliana era pertanto contraria allo statu quo e quindi favorevole a sviluppi in senso liberale e democratico: l’arresto ad una configurazione politica non era possibile e la dialettica storica doveva negarla per superarla e realizzare una più alta razionalità. Ciò equivaleva ad affermare la legittimità della prassi rivoluzionaria. Si critica quindi l’effetto ideologico più reazionario che il sistema hegeliano riesce a provocare: lo stato razionale non è ciò che esiste ma è quello che viene costruito liberamente con un atto libero e razionale da parte dei cittadini.
La SINISTRA, rispetto al primo punto, sottolineava come per sua natura la filosofia, in quanto espressione di un contenuto nella forma di concetto, fosse superiore alla religioneconsiderata come “momento” da superare perchè esprimeva gli stessi contenuti nella forma di dogmi e di rappresentazioni, cioè di residui mitologico-simbolici. La religione quindi non aveva alcuna funzione conoscitiva, e ciò che andava rivalutato era la filosofia, poiché essa sola utilizzava la ragione. I giovani hegeliani, sostenendo l’inconciliabilità assoluta tra hegelismo e Cristianesimo, esaltarono la filosofia ai danni della religione, riducendo quest'ultima a mero mito, a rappresentazione umana, alla quale veniva negato ogni elemento di trascendenza: il Cristianesimo, come tra l’altro ogni tipo di religione, da messaggio divino venne ridotto a fatto sostanzialmente umano, a una forma di alienazione dell’umanità, utile a conoscere molte cose non su Dio, ma sull’uomo, sulle sue aspirazioni, sulla sua storia. La Sinistra (Strauss, Feuerbach, Marx ed Engels), sostenendo l’inconciliabilità tra dogma e verità speculativa, finì per fare della filosofia uno strumento di contestazione razionale della religione e non solo: la critica alla religione, infatti, divenne in fondo la critica al sistema del potere, dato che la religione venne riconosciuta come il mezzo ideologico attraverso cui il potere veniva socialmente accettato. Nella Sinistra cominciarono così ad evidenziarsi posizioni atee: l’uomo può essere realmente libero solo eliminando la religione. La rottura definitiva dei delicati equilibri in seno alla cerchia degli allievi della scuola hegeliana avvenne proprio sulla questione religiosa con la pubblicazione della Vita di Gesù da parte di David Friedrich Strauss nel 1835. Si tratta di un’indagine storico-critica di natura filologica. Strauss è interessato a verificare l’attendibilità delle fonti bibliche, la coerenza interna, la plausibilità dei resoconti evangelici e a studiarne il contesto storico-culturale.  In questo scritto, Strauss sostiene che i Vangeli, perché non supportati da convincenti prove storiche e per il loro carattere chiaramente fantastico, privi cioè di coerenza logica, sono solo un racconto mitologico in cui si riflettono le attese e i sentimenti, storicamente determinati, delle comunità cristiane delle origini. Essi sono ridotti a prodotto culturale, umano e quindi privi di qualsiasi connotato trascendente. Il Cristianesimo, anziché essere una verità rivelata, è solo una forma storicamente prodotta dalla ragione; Dio non è più trascendente ma una manifestazione storicamente determinata della ragione e perde il suo valore assoluto; la stessa figura di Cristo, non essendo provata la storicità, è ridotta a mito, a espressione dell’unità di religione e filosofia, unità che lo stesso Hegel aveva teorizzato. L’opera si risolve, quindi, in una radicale delegittimazione della religione, ridotta ad espressione della cultura, e sfocia nell’ateismo. Per legittimare il suo pensiero, Strauss riprende la critica spinozina al miracolo. Per Spinoza la nozione di miracolo era da rifiutare in quanto contraddittoria: essa presupponeva una sospensione da parte di Dio dell’ordine e delle leggi necessarie alla natura, che per Spinoza è Dio stesso. Anche Strauss nega l’intervento diretto del divino nella storia perché esso presupporrebbe una separazione di Dio dalla realtà finita, idea che egli appunto rifiuta in quanto tutto nel mondo è connesso ad una catena di causa ed effetto che non ammette interruzione alcuna. Chi parla di miracoli, chi ammette che Dio possa intervenire e sospendere questa catena di connessione tra causa ed effetti, non esprime la verità, ma parla in modo mitico ed esprime la propria ignoranza di questa connessione che non ammette eccezioni. L’opera fece scandalo e Strauss fu espulso dal Collegio protestante di Tubinga. Le prese di posizione della sinistra hegeliana non riguardarono solo l’ambito religioso ma coinvolsero anche la stessa filosofia, che per diversi aspetti è assimilabile alla religione. Entrambe sono:
    forme di astrazione, lontane dalla vita reale e portatrici di concezioni “alienate” della realtà, nelle quali la rappresentazione o il concetto prende il posto della realtà;
      sistemi di pensiero essenzialmente autoritario: la filosofia, come la religione, è legata al trono.
Quindi, come la religione andava “umanizzata”, liberandosi da ipoteche trascendenti, così la filosofia andava “deteologizzata”, cioè ricondotta alla vita, alla realtà. La filosofia doveva cambiare natura: doveva smetterla di ridursi a mero “discorso” e divenire vita concreta, prassi, esperienza! La teoria doveva fondersi con la prassi! Bersaglio di questa polemica era il carattere frammentario e conflittuale della società borghese. Il nesso tra filosofia e prassi, che equivaleva a quello tra filosofia e politica, e la critica alla società borghese, trovò un suo pieno sviluppo nel pensiero di Marx. Non mancarono atteggiamenti ribellistici e iconoclasti, volti a scandalizzare, a infrangere tabù, a spaventare i benpensanti. Atteggiamenti non immuni da contraddizioni: i “giovani” mostrarono di considerare decisivo il pensiero, proprio come faceva quella filosofia tradizionale che intendevano rifiutare e superare.  Quella dei “giovani hegeliani” era la scuola filosofica che fu protagonista di quel clima intellettuale nel quale esplosero contemporaneamente i temi liberali della critica allo stato assolutistico e le critiche socialiste alla società borghese. Ma la Sinistra fu anche espressione di una generale crisi delle tradizionali forme di sapere: la filosofia nell’‘800, infatti, perdeva terreno di fronte ai saperi specialistici, specialmente rispetto alle nuove scienze umane (sociologia, diritto, antropologia, economia, scienza politica).

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