Arendt Le origini del totalitarismo
In quest'opera,
una filosofa che subì direttamente le persecuzioni antiebraiche affronta da un
punto di vista di filosofia politica e di
interpretazione psicologica il
fenomeno del
totalitarismo nelle sue varie manifestazioni novecentesche.
L'autrice
Questo libro,
pubblicato negli Stati Uniti nel 1951 e tradotto negli anni successivi in
moltissime lingue (in Italia da Bompiani, Milano 1978), rappresenta un classico
della letteratura politica. La sua autrice, Hannah Arendt (J 906-75) era una filosofa tedesca, discepola di Heidegger e di
Jaspers, emigrata nel 1941 negli Stati Uniti per sfuggire alla persecuzione
antisemita imposta dal nazismo. Nell'immediato dopoguerra, la Arendt cominciò a
interrogarsi sul fenomeno del totalitarismo dedicando a esso praticamente tutta
la sua opera di filosofia della politica. Le
origini del totalitarismo non è dunque un'opera storiografica in senso stretto, quanto
piuttosto il tentativo teorico e
psicologico al tempo stesso di confrontarsi con un fenomeno
della modernità che rappresenta per la sua autrice un'enorme tragedia
storica, "forse la crisi più grave subita dall'Occidente dopo lo sfacelo dell'impero
romano ...
Totalitarismo e masse
Il totalitarismo di cui
si occupa la Arendt è, prima ancora che un insieme di fenomeni e di eventi, una
categoria interpretativa alla quale vengono ascritti sia i regimi fascisti sia
lo stalinismo, fondata sulla comparazione delle strutture e delle tecniche del
potere politico.
Nazismo e stalinismo si
configurano, secondo la Arendt, come i modelli più compiuti di stati totalitari
perché sia Hitler sia Stalin erano ai vertici di un sistema di dominio che
consegnava al capo carismatico un potere illimitato e svincolato da ogni
controllo su un insieme di individui ridotti al puro stato di masse
indifferenziate e atomizzate.
"Il termine massa
- scrive la Arendt si riferisce soltanto a gruppi che, per entità numerica o
per indifferenza verso gli affari pubblici o per entrambe le ragioni, non
possono inserirsi in una organizzazione fondata sulla comunanza di interessi,
in un partito politico, in un'amministrazione locale, in una associazione
professionale o in un sindacato. Potenzialmente essa esiste in ogni paese e
forma la maggioranza della folta schiera di persone politicamente neutrali che
aderiscono mai ad un partito e fanno fatica a recarsi alle urne. Fatto
caratteristico, i movimenti totalitari reclutarono i loro membri da questa
massa di gente manifestamente indifferente, che tutti gli altri partiti avevano
lasciata da parte perché troppo apatica o troppo stupida. Il risultato fu che in
maggioranza essi furono composti da persone che non erano mai apparse prima
sulla scena politica [ ... ]. Da un punto di vista
pratico, non c'è molta differenza se i movimenti totalitari [ ... ] organizzano le masse in nome della razza o della classe, se
pretendono di seguire le leggi della vita e della natura o quelle della dialettica e
dell'economia".
Alle origini del
totalitarismo vi è dunque la società di massa, nella quale si sono perduti progressivamente i
legami comunitari di gruppo o di classe che avevano legato tra di loro gli
individui nella società liberale, e che si fonda sulla presenza crescente di
individui privi di forti appartenenze sociali, i cui comportamenti vengono
omogeneizzati dall'accesso a consumi standardizzati promossi dalla grande
industria. Queste "masse", la cui condizione sociale non è
generalmente caratterizza dalla povertà, ma piuttosto dalla frustrazione per
aspirazioni non realizzate al benessere e all'ascesa sociale, hanno manifestato
un'altissima disponibilità a seguire il messaggio politico di movimenti radicali
che proponevano esplicitamente la distruzione
dello stato liberaldemocratico.
Il rapporto fra masse e leader
Tra le masse e i leader di questi movimenti si instaurano rapporti del
tutto nuovi rispetto al passato, perché si basavano sulla fedeltà cieca a un
capo dotato di eccezionale carisma personale e che riassume in sé tutti i
compiti di delega e di rappresentanza, che nello stato liberale sono articolati
nelle istituzioni politiche a
base elettiva. Elementi cruciali di questo rapporto sono:
1. un'ideologia radicale nella quale si
fondono l'esaltazione nazionalistica, le spinte imperialistiche, il razzismo e
una concezione etica dello stato, ritenuto depositario dei fini a cui deve
tendere tutta la nazione;
2. un uso del tutto nuovo della propaganda
secondo tecniche di comunicazione moderne capaci di chiamare alla mobilitazione permanente le masse, che la Arendt paragona alla plebe
urbana dell’Impero romano, per la loro disponibilità a credere alle verità
espresse dai loro capi. “L'efficacia di tale propaganda – scrive la Arendt -
mette in luce una delle principali caratteristiche delle masse moderne. Esse
non credono nella realtà del mondo visibile, della propria esperienza; non si fidano dei loro occhi e orecchi, ma soltanto della loro immaginazione. [ ... ] Esse sono predisposte a tutte le ideologie perché spiegano i fatti come semplici esempi di determinate leggi [ ... ] inventando un'onnipotenza tutto comprendente che suppongono sia alla radice di ogni cosa. La propaganda totalitaria prospera su questa fuga dalla realtà nella finzione”;
3. l'uso sistematico della violenza contro gli avversari e del terrore poliziesco come strumento di controllo sociale che raggiunge la sua manifestazione estrema nei campi di sterminio nazisti e nel gulag
sovietico.
La negazione dei princìpi
liberali
Lo stato totalitario, però, non si esaurisce nel rapporto di tipo nuovo fra
masse e leadership. Per la Arendt un altro elemento cruciale è, come si è accennato, la concezione dello stato, opposta a quella liberaldemocratica.
Quest'ultima presuppone una netta separazione tra stato e società civile, tra
potere pubblico e diritto privato ed è proprio in questa distinzione che affondano le loro radici più profonde la
libertà individuale e l'eguaglianza dei cittadini. Lo stato totalitario nazista
e sovietico elimina invece questa distinzione e assorbe la società civile e gli
individui dentro lo stato: «tutto è pubblico, tutto è nello stato e
nulla fuori di esso», come recitava un famoso slogan del fascismo italiano. La libertà e l'eguaglianza perdono così il loro
fondamento principale e gli individui soggiacciono al potere dispotico dello
stato, che a sua volta diventa una macchina di dominio asservita al volere del
dittatore.
Ma tutto questo processo non sarebbe possibile se lo stato totalitario non
potesse disporre di un vasto
apparato tecnologico e produttivo che solo una moderna società industriale può
garantire. Questa è una condizione indispensabile non solo
perché è la diffusione dell'industrializzazione su
scala sempre più vasta che genera "l'uomo massa", ma anche perché la
società totalitaria presuppone la diffusione del benessere che solo un alto
grado di sviluppo industriale può determinare.
In questa chiave il totalitarismo appare come un regime moderno dai
caratteri decisamente rivoluzionari, poiché ha cambiato radicalmente l'ordinamento sociale realizzato dal liberalismo.
Per
riflettere
1.
Quale essenziale mutamento sociale
verificato si agli inizi del XX secolo la Arendt ritiene indispensabile per il manifestarsi del totalitarismo?
2. Quali princìpi liberali il totalitarismo nega, e con quali esiti?
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