domenica 13 gennaio 2013

Hegel: dalla Ragione al Sapere Assoluto


Con l’ennesimo capovolgimento dialettico, che parte dalla concezione di un Dio radicalmente opposto all’uomo, si arriva attraverso l'esperienza mistica alla concezione di un’unità inscindibile tra uomo e Diol’uomo si è assimilato a Dio e ha acquisito la certezza di essere ogni realtà, ovvero ha superato il dualismo soggetto/oggetto. Infatti, solo chi ha sperimentato l’impotenza, lo svuotamento, la separazione può superare questa condizione, e giungere alla consapevolezza che nulla esiste all’esterno di se stesso.  È questa la posizione propria dell’idealismo. Si chiude così la seconda tappa (autocoscienza) della Fenomenologia e si apre la terza: la ragione. Mistica e ragione sono pertanto due passi contigui e la ragione pertanto appare come il momento di unità e di conciliazione. Hegel definisce la ragione come certezza di essere ogni realtà, certezza che è frutto dell'unità di pensare e di essere. Da notare che Hegel usa l’espressione certezza di essere ogni realtà e non sapere di essere ogni realtà, poiché se fosse un sapere sarebbe già il punto di arrivo. “Certezza”, invece, è il punto di partenza, è la dichiarazione generale che il soggetto ha acquisito consapevolezza di essere ogni realtà: dopo tale dichiarazione, spetta alla ragione cercare se stessa nella realtà, di verificare questa certezza, quasi come se si sapesse ciò che si è ma si dovesse cercare di capire il come e il perché. Si tratterà pertanto di una ricerca di se stessa che la ragione conduce nella realtà attraverso vai tentativi rappresentati da altrettante tappe dialettiche. Queste tappe ripetono, ad un livello più alto (perchè ora la Coscienza come Ragione sa di essere unità di pensiero e di essere), in forma di spirale ascendente, i tre momenti precedentemente esaminati. Il passaggio da mistica a ragione si è realizzato storicamente quando dal Medioevo si è passati al Rinascimento. Nel momento della Ragione si individuano tre tappe.
La prima tappa è costituita dalla scienza moderna ed è definita RAGIONE CHE OSSERVA LA NATURA o Ragione osservativa. È questa la fase del naturalismo del Rinascimento e dell’empirismo, fasi storiche in cui l’uomo, dall’osservazione dei dati empirici e dei risultati degli esperimenti, ricava, attraverso la classificazione e l’astrazione, i concetti e le leggi che costituiscono la scienza. La Ragione osservativa (in sostanza, la scienza moderna, sperimentale) è la ragione che "osserva" la natura con la certezza di trovarvi una razionalità omogenea alla sua: è consapevole fin da principio che il mondo è penetrabile dalla ragione, è razionale. Essa non cerca la natura sensibile delle cose, anche se crede di farlo: in realtà cerca se stessa nella natura, cerca di riconoscersi nella realtà oggettiva che le sta di fronte. Hegel scrive che la ragione cerca il suo altro, sapendo che in ciò essa non possiederà nient'altro che se stessa; essa cerca soltanto la sua propria infinità. Scopre quindi che le leggi immanenti alla natura altro non sono se non leggi della ragione stessa. Quindi la scienza si inganna di trovare, scoprire un ordine nelle cose; essa è invece costruzione di un ordine razionale propriamente umano. Qui è in gioco il consueto rapporto idealistico tra soggetto e oggetto, risolto tutto a favore del primo termine. Anche a proposito dell’intelletto (nella tappa della coscienza) si parlava di scienza, ma là era una tappa gnoseologica, qui è una tappa storica, cioè il naturalismo rinascimentale. Hegel sembra tornare al punto di partenza, ma in realtà è lo stesso punto di partenza visto a livelli sempre più alti. L’osservazione della natura parte dalla semplice descrizione, si approfondisce con la ricerca della legge e con l’esperimento per giungere poi nel dominio del mondo organico, per passare infine a quello stesso della coscienza con la psicologia. La psicologia si mostra incapace di indagare le leggi del pensiero. A questo proposito, Hegel esamina lungamente due sedicenti scienze in voga a quel tempo: la fisiognomica di J. K. Lavater (1741-1801), che aveva la pretesa di determinare il carattere dell’individuo attraverso i tratti della sua fisionomia, e la frenologia di F. J. Gall (1758-1828), che pretendeva di conoscere il carattere dalla forma e dalle protuberanze del cranio; in questa ricerca esasperata di sé nella frenologia, la ragione osservativa giunge a proclamare che l’essere dello spirito è un osso. Hegel rifiuta le leggi di queste due scienze in quanto si fondano su una corrispondenza rigorosa tra interno ed esterno. Tuttavia la ragione sia avvede che per ritrovarsi nella realtà non può limitarsi a osservarla e conoscerla: essa deve agire!
Se il primo momento era puramente oggettivo, in quanto la ragione ricercava oggettivamente se stessa nella realtà, la seconda tappa, quella della RAGIONE CHE AGISCE o Ragione attiva,  presenta invece un capovolgimento dialettico: dall'oggettività si passa alla soggettività, ovvero al momento dell'azione individuale, cioè alla sfera della morale. La Ragione che agisce ripete a più alto livello (cioè a livello di certezza di essere ogni cosa) il momento dell'autocoscienza: la coscienza non vuole cercarsi, ma vuole produrre se stessa, vuole imporre la ragione alla realtà (in ultima istanza la soggettività all’oggettività) in quanto l’unità di Io e mondo non è qualcosa di già dato e contemplabile ma qualcosa da realizzare. L'itinerario della Ragione attiva consiste nell'iniziare a realizzarsi, dapprima, come individuo per elevarsi, alfine, all'universale, superando i limiti dell'individualità e raggiungendo la superiore unione spirituale degli individui. A tal proposito Hegel, per questo momento che definisce “individualità”, scorge in tre figure e personaggi del suo tempo i diversi tentativi possibili che la ragione compie per imporsi alla realtà:
a) la prima figura è quella denominata il piacere e la necessità, che è propria dell'individuo che, deluso dalla scienza e dalla ricerca naturalistica, ricerca la felicità nel piacere e nel godimento, come, ad esempio, nel primo Faust di Goethe: Faust stringe un patto col diavolo pur di ottenere il dominio sulla natura e quindi il proprio godimento e benessere. Ma tale piacere è illusorio: nella ricerca del piacere l’individuo, limitato e finito, si scontra con la necessità del destino che, incurante delle sue personali esigenze di felicità, lo travolge inesorabilmente.
b) la seconda figura è quella della legge del cuore e il delirio della presunzione, che è propria dell’individuo che cerca di opporsi e regolare il corso ostile del mondo appellandosi alla legge del cuore, ai sentimenti (qui il filosofo allude probabilmente al filone sentimentalistico che va da Rousseau ai Romantici; Hegel non ama affatto l’atteggiamento dei Romantici e in questo si rivela come pensatore non-Romantico dell’età romantica: i Romantici infatti contrappongono ad una natura recalcitrante i propri valori, la loro legge del cuore, assumendo un atteggiamento di lamentazione e opposizione verso la realtà): qui l’individuo non si preoccupa del proprio piacere, come Faust, ma del benessere altrui e, dopo aver cercato di individuare e di abbattere i responsabili dei mali del mondo (preti fanatici, despoti corrotti), entra in conflitto con altri presunti portatori  del vero progetto di miglioramento della realtà: infatti, inevitabilmente, ogni individualità incontra la resistenza di altre individualità che, appellandosi alla legge del loro cuore, aspirano parimenti a imporre a tutti i propri principi, le proprie ricette per la salvezza dell’Umanità. 
Questi primi due tentativi sono destinati al fallimento poiché in essi la ragione si esprime ancora a livello individuale, non giunge cioè a quel livello di universalità collettiva, concreta che solo le consente di identificarsi con tutto il mondo. 
c) Da questa contraddizione nasce la terza figura che è quella della virtù e il corso del mondo, che vede l’individuo contrapporre, ai vari fanatismi di parte, la virtù, ossia un agire in grado di procedere oltre l’immediatezza del sentimento e delle inclinazioni soggettive. Tuttavia, lo scarto tra la virtù, astrattamente vagheggiata come “dover essere”, e la realtà, il corso del mondo, che è governato dalla legge dell'effettualità, è troppo grande per cui i cavalieri della virtù, cioè quei personaggi che vorrebbero riformare il mondo, sono destinati a fallire: il bene vagheggiato non riesce a invertire il corso del mondo e ciò comporta la sconfitta del “cavaliere della virtù” e dei suoi donchisciotteschi propositi di moralizzazione dell’esistente. La virtù, insomma, pur superando la dimensione soggettiva, sentimentale e romantica del cuore, non può che infrangersi di fronte al mondo, il cui inesorabile e oggettivo corso non si lascia certo mutare da essa. Figure di questo momento sono don Chisciotte e Robespierre.
Alla tappa della Ragione osservativa e a quella della Ragione attiva, segue quella denominata l’INDIVIDUALITÀ CHE È A SE STESSA REALE IN SE STESSA E PER SE STESSA. Anche questa fase si realizza in tre momenti successivi:
a) il regno animale dello spirito e l’inganno. Agli sforzi e alle ambizioni universalistiche della virtù succede l'atteggiamento dell'onesta dedizione ai propri compiti particolari (familiari, professionali, ecc.). il termine "animale" indica proprio che la vita dello spirito viene risolta nella cura dei propri compiti o affari. L'inganno, sta nel fatto che l'individuo tende a spacciare la propria morale individuale, che esprime in realtà un interesse particolaristico, per universale. Lukacs ha visto in questa figura la traduzione filosofica della mentalità, dell'individualismo borghese;
b) la ragione legislatrice. In questa figura, l'autocoscienza, consapevole dell'inganno sopra descritto, cerca in se stessa delle leggi che valgano per tutti. E' la figura corrispondente alla morale kantiana: la ragione, autonoma da ogni circostanza esterna, si fa principio di una legislazione universale. Tuttavia, tali leggi universali, in virtù della loro origine individuale, si rivelano inevitabilmente in contenuti etici particolari, pur se presentati nella forma dell'universalità, come illustra l'esempio proposto da Hegel, partendo da una tesi kantiana: Ognuno ha il dovere di dire la verità. In questo dovere enunciato come incondizionato viene subito ammessa la condizione: se egli sa la verità. Quindi il comando suonerà ora così: Ognuno deve dire la verità, sempre a seconda della cognizione e della persuasione che egli ne ha. In questo modo, la pretesa di universalità della norma morale mostra immediatamente i propri limiti e la propria inadeguatezza;
c) la ragione esaminatrice o critica delle leggi. Le contraddizioni di cui sopra, spingono l'autocoscienza a farsi "ragione esaminatrice delle leggi" effettivamente esistenti, per verificarne o meno l'universalità e la non contradditorietà. Tuttavia, l'autocoscienza si pone al di sopra di esse, nella misura in cui sottomette le leggi al proprio esame, in base a determinazioni individuali scambiate per universali. Così facendo si riduce, simultaneamente, l'intrinseca validità e incondizionatezza delle leggi.
Con tutte queste figure, Hegel intende dire che, fin quando ci si pone dal punto di vista dell'individuo, si è inevitabilmente condannati a non raggiungere mai l'universaleNon più confinata nella sfera dell'individualità, la ragione diviene spirito che, nella fase sistematica del pensiero hegeliano, viene denominato "spirito oggettivo" o "eticità", che si incarna nelle istituzioni politiche di un popolo e soprattutto nello Stato. Quindi, per Hegel, la legge etica non è in noi o nella nostra ragione ma nella storia e nello Stato. La legge morale è allora il diritto, cioè la legge positiva, che non deriva dalla volontà del legislatore ma è l'incarnazione nel tempo della ragione universale. A tal proposito, Hegel cita l'Antigone di Sofocle, per mostrare che essa non ha origine nella volontà individuale, poichè vive non oggi nè ieri, ma sempre. La Ragione, pertanto, non è legislatrice ma deve sottostare ad una norma esterna che oltrepassa la dimensione dell'individualità e che postula una realtà superiore a quella del singolo.
Come momento conclusivo, quindi, l'Autocoscienza, in questa fase, scopre che la sostanza etica non è altro se non ciò in cui essa è già immersa: è l'ethos della società e del popolo in cui vive.
La Ragione, pur essendo andata incontro a questa serie di sconfitte a causa dell’astrattezza e inadeguatezza dell’individualità, ha scoperto, tuttavia, l’imprescindibile ruolo della relazione tra individuo e comunità; la ragione transita allora dalla dimensione individuale e soggettiva della moralità alla dimensione sovra-individuale e collettiva dell'eticità. La Ragione universale si raggiunge solo quando si passa dalla morale kantiana e fichtiana, di carattere soggettivo, all’eticità, ossia quando si assume il punto di vista dello spirito che s’incarna nelle istituzioni giuridiche, storico-politiche e culturali di un popolo, ossia nello Stato. L’eticità è appunto la coscienza divenuta cosciente di se stessa realizzata nelle istituzioni storico-politiche di un popolo. Nell’eticità non c’è contrapposizione tra dover essere ed essere come nella moralità kantiana. Nell’eticità dover essere e realtà coincidono perfettamente in quanto ciò che è reale è razionale e ciò che è razionale è reale. In conclusione, per Hegel l’individuo non si può realizzare da solo, ma si realizza solo riconoscendosi e ponendosi all’interno dello Stato. L’autocoscienza raggiunge la pace solo se è realizzata all’interno di uno Stato.

LO SPIRITO
Lo Spirito non si identifica con la legge morale facente capo all’individuo virtuoso, ma si concretizza nella cultura di un popolo. Lo “Spirito” (Geist), secondo la definizione di Hegel, è, in questa specifica accezione, la vita etica di un popolo: l’individuo che è un mondo. In tal modo il singolo può comprendere se stesso, trovare il senso della sua esperienza e della sua esistenza come parte di un tutto, vale a dire del suo popolo. La Ragione, insomma, si realizza concretamente nelle istituzioni storico-politiche di un popolo e soprattutto di uno Stato. In altre parole, la Ragione “reale” non è quella dell’individuo, ma quella dello spirito o dello Stato: non è quindi l’individuo a fondare la realtà storico-sociale, ma è vero il contrario.  Non capirebbe neppure una parola di ciò che dice Hegel chi non tenesse continuamente presente questa dimensione intersoggettiva, sociale, dello Spirito.
È chiaro, di conseguenza, che, per tutto il corso del restante itinerario fenomenologico, costituito dalle tre sezioni (Spirito, Religione, Sapere Assoluto, le "figure" non sono più modi in cui la Coscienza si rappresenta soggettivamente la realtà, ma diventano "figure di un mondo", tappe del percorso effettivo della storia, che ci mostrano lo Spirito "alienato nel tempo" e che attraverso questa alienazione si realizza e si ritrova e, alla fine, si autoconosce. Le tappe fenomenologiche dello "Spirito" sono:
A) lo Spirito in sé come eticità, che si esprime in maniera paradigmatica nel mondo greco e in quello romano. In Grecia, nella polis, abbiamo una fusione armonica tra l’individuo e la comunità, in quanto il singolo appare profondamente immerso nella vita del suo popolo. Era, però, ancora un’unità “immediata”, “naturale”, cioè quasi istintiva, non concettualmente consapevole, dunque di livello ancora inferiore: infatti, è presente ancora un elemento di scissione, che si evidenzia nel momento in cui la volontà del singolo e le leggi della comunità vengono a collidere. La figura più nota è quella rappresentato da Antigone, il cui desiderio di giustizia si scontra con le leggi dello Stato in un esito tragico. Il mondo romano, invece, riconosce l’individuo solamente nell’universalità astratta del diritto;
B) lo Spirito che si estrania da sé. In questa fase l’eticità e le sue contraddizioni vengono superate nella cultura, che corrisponde alla fase in cui si consuma la frattura tra l’io e la società, ossia a una situazione di scissione e di alienazione che, già iniziata nel mondo antico e con l’impero cristiano, trova il proprio culmine nel mondo moderno. In questa fase, il superamento dell’immediatezza naturale, la spontaneità ingenua, avviene mettendo in azione l’intelletto, quale facoltà analitica. Ma, come negli scritti giovanili, l’intelletto è incapace di giungere alla totalità organica, perché è essenzialmente portata a frammentare il conoscere. Rifiuta giustamente le credenze abituali e consolidate, facendone oggetto anche di irrisione e sarcasmo, ma non sa costruire: lascia una coscienza disgregata. Tale atteggiamento raggiunge il suo culmine con l’illuminismo, un tipo di cultura corrosiva: tutto viene sottoposto al vaglio dell’intelletto, che emancipa dai lacci della fede e della superstizione, ingaggiando con loro una vera battaglia. Ma la libertà della Ragione ottenuta in questo modo è puramente negativa, anche se si crede assoluta perché tende a distruggere tutto, rivolgendosi, alla fine, contro se stessa. Manifestazione politica di questa vicenda intellettuale è la Rivoluzione francese, che volendo instaurare il regno della libertà ha invece dato inizio al Terrore, dove gli stessi esponenti della Rivoluzione finiscono per ghigliottinarsi a vicenda. 
C) lo Spirito che riacquista certezza di sé. Per uscire dalla furia devastatrice del Terrore, è necessaria una rivoluzione morale attraverso cui il singolo educhi la propria volontà all’universale. Con ciò Hegel non intende riproporre la legge morale kantiana, che egli considera astratta perché formale, ma un’effettiva unione tra morale individuale e lo spirito  del popolo. Il terzo momento è quello di una riconquistata eticita, di una ritrovata armonia tra individuo e comunità. Anche qui lo Spirito attraversa delle figure, ancor imperfette, di “moralità astratta”:
  • l’anima bella romantica, che Hegel mutua da Schiller. Essa sembra rendere possibile la spontanea unificazione tra legge e impulso individuale. Essa definisce quella specie di soggettività che, rifugiandosi nella pura contemplazione e rinunciando quindi all’azione, si eleva all’universalità, ma è del tutto incapace di uscire da se stessa: proprio la sua purezza la isola dal contatto con il mondo perché essa non vuole “sporcarsi” nella realtà;
  • la religione, con la quale lo Spirito cerca di raggiungere l’unità con l’Assoluto: infatti, la religione ha come oggetto proprio l’Assoluto, che è rappresentato da Dio. Tuttavia, anche in questo stadio c’è qualcosa che impedisce la concettualizzazione totale: esso è dato da un elemento di esteriorità, cioè i simboli visivi con cui la religione si esprime. Questi sono condizionati da livello di cultura raggiunto dai diversi popoli. Infatti la religione può presentarsi come:

  1. religione naturale, che riconosce il sacro in elementi come la luce, le piante o gli animali: lo spirito divino appare allora come un artigiano che conosce se stesso attraverso oggetti (piramidi, obelischi);
  2. religione artistica, tipica del popolo greco e romano, che rappresenta il divino nelle opere d’arte;
  3. religione rivelata nel cristianesimo, la forma più alta di religione, che, grazie a concetti come la Trinità, la lotta tra il bene e il male e l’incarnazione (nei quali egli vede i concetti cardine della propria filosofia), riesce ad andare oltre l’immediatezza della rappresentazione sensibile, ma, nonostante la sua spiritualità, contiene pur sempre un elemento rappresentativo. Dio rimane ancora un oggetto, cioè qualcosa di esterno, per così dire, al mondo, dunque un’immagine inadeguata a esprimere l’identità dello Spirito con se stesso.

LA TAPPA CONCLUSIVA: IL SAPERE ASSOLUTO
Il superamento della forma di conoscenza "rappresentativa" propria della Religione porta, infine, al puro concetto e al Sapere Assoluto, ossia al sistema della scienza, che Hegel esporrà nella "Logica", nella "Filosofia della Natura” e nella "Filosofia dello Spirito", come vedremo. La scienza è quindi l’esito della storia della coscienza, è il Sapere Assoluto, cioè completamente libero, in cui lo Spirito coglie se stesso, diviene consapevole di se stesso, può finalmente pensarsi ed essere insieme soggetto e oggetto solo nell’Assoluto, nel concetto, cioè nella filosofia. La concettualità filosofica è “concreta” perché si è arricchita, ma anche purificata, passando attraverso tutte le esperienze precedenti. L’identità Io=Io è ora superata nell’uguaglianza e dell’uguaglianza e della differenza. 

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