I CAPISALDI DEL SISTEMA HEGELIANO
Per poter seguire
proficuamente lo svolgimento del pensiero di Hegel risulta indispensabile aver
chiare, sin dall’inizio, le tesi di fondo del suo idealismo:
a) la risoluzione del
finito nell’infinito;
b) l’identità fra
ragione e realtà;
c) la funzione
giustificatrice della filosofia.
a) Finito e infinito
Con la prima tesi Hegel
intende dire che la realtà non è un insieme di sostanze autonome, ma un organismo
unitario, detto assoluto, di cui tutto ciò che esiste è
parte o manifestazione. Lungi dall’essere una totalità armoniosa, l’ASSOLUTO
hegeliano si presenta come una totalità articolata che unisce parti diverse,
anche opposte, senza annullare le differenze. L’Assoluto risulta essere quindi
l’UNIONE DELL’UNIONE E DELLA NON UNIONE, "sintesi di
identità e differenza". Nell’Assoluto, la conflittualità non lacera
l’unità ma la rende più ricca, divenendo la condizione che ne favorisce la
realizzazione. Tale organismo, l’Assoluto, non avendo nulla al di fuori di sé e
rappresentando la ragion d’essere di ogni realtà, coincide con l’Infinito.
I vari enti del mondo, di contro, essendo manifestazioni di esso,
coincidono con il finito. Di conseguenza, il finito, come tale,
non esiste, perché ciò che noi chiamiamo finito è nient’altro che
un’espressione parziale dell’Infinito. Infatti, come la parte non può esistere
se non in connessione con il Tutto, in rapporto al quale soltanto ha vita e
senso, così il finito esiste unicamente nell’infinito e in
virtù dell’infinito. Detto altrimenti: il finito, in quanto è reale,
non è tale, ma è lo stesso infinito.
Se la concezione cristiana
si basa sulla fede in un Dio creatore trascendente e ontologicamente distinto
dal creato, l’hegelismo si configura come una forma di monismo panteistico: esiste
un’unica realtà divina (monismo) di cui il mondo visibile costituisce la
realizzazione o la manifestazione. Tuttavia il panteismo di Hegel si
differenzia da quello moderno di Giordano Bruno e di Spinoza: questi sostengono
che l’Assoluto è una Sostanza statica che coincide con la Natura; per
Hegel invece l’Assoluto si identifica con un Soggetto spirituale in
divenire, come una realtà spirituale che ha il carattere della
trasformazione, del continuo “farsi altro”, di cui tutto ciò che esiste
è un “momento” o una “tappa” di realizzazione. La totalità è movimento,
processo, divenire, trasformazione: è - dice Hegel - vita. Le
differenze e le opposizioni, come già detto, non si annullano, bensì
interagiscono in un processo continuo, in un farsi infinito. Infatti,
dire che la realtà non è “Sostanza”, ma “Soggetto”, significa dire, secondo
Hegel, che essa non è qualcosa di immutabile e di già dato, ma un processo di
auto‑produzione che soltanto alla fine, cioè con l’uomo (= lo Spirito,
che è piena “consapevolezza della totalità”), giunge a rivelarsi per quello che
è veramente: “Il vero ‑
scrive Hegel nella Prefazione alla Fenomenologia dello Spirito ‑ è l’intero. Ma l’intero è soltanto l’essenza che si completa
mediante il suo sviluppo. Dell’Assoluto devesi dire che esso è essenzialmente
Risultato, che solo alla fine è ciò che è in verità...”. In altre parole, poiché la totalità è processo, la verità è il
culmine del processo. Il divenire dello Spirito comprende inevitabilmente
momenti drammatici di conflitto, di lacerazione, di sconfitta, in altre parole,
di negazioni e differenze, ricondotte ad un'unità superiore, come vedremo,
dalla ragione. La filosofia, scrive Hegel, deve attraversare il suo “venerdì
santo speculativo” prima di arrivare alla domenica di Pasqua. Ma proprio
qui sta la novità di Hegel: il negativo non è l’ultima parola. Il negativo è un
momento essenziale del positivo e dell’Assoluto concreto verso cui si tende. Il
movimento stesso è reso possibile dalle differenze, o "opposizioni",
e dal superamento in un'unità superiore, che genera altre opposizioni e altre
unificazioni, e così via. Il pensiero, dunque, è un processo in cui i concetti
trapassano l'uno nell'altro, attraverso opposizioni e sintesi continue.
b) Ragione e realtà
Il Soggetto spirituale
infinito che sta alla base della realtà viene denominato da Hegel con il
termine di Idea o di Ragione, intendendo con queste
espressioni l’identità di pensiero ed essere, o meglio, di ragione e
realtà. In questo senso, per Hegel è inammissibile il dualismo di pensiero e
realtà come sostanze separate ed eterogenee. Il pensiero è realtà e la realtà è
pensiero, spirito. Ciò implica anche che tra logica ed ontologia, tra logica e
metafisica non sussiste alcuna differenza. Da ciò il noto aforisma, contenuto
nella Prefazione ai Lineamenti di filosofia del diritto, che è stato oggetto delle più svariate interpretazioni, in cui si
riassume il senso stesso dell’hegelismo: Ciò che è razionale è reale;
e ciò che è reale è razionale.
Con la prima parte
della formula, Hegel intende dire che la razionalità non è pura idealità,
costruzione astratta, schema, dover‑essere,
ma la forma stessa di ciò che esiste, poiché la ragione “governa” il mondo e lo
costituisce. In altre parole, se l’Assoluto non si incarna nel mondo è vuoto,
astratto, formale.
Viceversa, con la seconda
parte della formula, Hegel intende affermare che la realtà è una
connessione unitaria che ha i caratteri della necessità, cioè non è un confuso
insieme di avvenimenti casuali, non è una materia caotica, ma il dispiegarsi
di una struttura razionale (l’Idea o la Ragione) che si manifesta in modo inconsapevole
nella natura e in modo consapevole nell’uomo: se il reale non si riconosce nel
razionale è privo di significato, è senza senso. Per cui, con il suo aforisma,
Hegel non esprime la semplice possibilità che la realtà sia penetrata o intesa
dalla ragione, ma la necessaria, totale e sostanziale identità di realtà e
ragione. Tuttavia tale identità non va intesa semplicemente e staticamente:
essa implica anche l’identità fra essere e dover‑essere,
in quanto ciò che è risulta anche ciò che razionalmente deve
essere. Tant’è vero che le opere di Hegel sono costellate di osservazioni
piene di ironia e di scherno a proposito dell’ “astratto” e moralistico dover‑essere che non è, dell’ideale che non è
reale. Il mondo, in quanto è, e così com’è, è razionalità dispiegata, ovvero
ragione reale e realtà razionale ‑
che si manifesta attraverso una serie di momenti necessari che non possono
essere diversi da come sono. Infatti, da qualsiasi punto di vista guardiamo il
mondo, troviamo ovunque, secondo Hegel, una rete di connessioni necessarie e di
“passaggi obbligati” che costituiscono l’articolazione vivente dell’unica Idea
o Ragione. In altri termini, Hegel, secondo uno schema tipico della filosofia
romantica, ritiene che la realtà costituisca una totalità processuale
necessaria, formata da una serie ascendente di “gradi” o “momenti”, che
rappresentano, ognuno, il risultato di quelli precedenti ed il presupposto di
quelli seguenti.
c) La funzione
giustificatrice della filosofia
Coerentemente con il suo
orizzonte teorico, fondato sulle categorie di totalità e di necessità, Hegel
ritiene che il compito della filosofia consista nel prendere atto della realtà
e nel comprendere le strutture razionali che la costituiscono: “Comprendere ciò
che è è il compito della filosofia, poiché ciò che è è la ragione”.
Compito della filosofia non è quella di dare delle lezioni di razionalità al
reale perché il reale è già razionale: a dire come dev’essere il mondo, la
filosofia arriva sempre troppo tardi; giacché sopraggiunge quando la realtà ha
compiuto il suo processo di formazione. Essa, afferma Hegel con un paragone
famoso, è come la nottola di Minerva, la civetta che accompagna la dea della
sapienza, che inizia il suo volo sul far del crepuscolo, cioè quando la realtà
è già bell’e fatta. La civetta, infatti, ha grandi occhi ed è capace di vedere
nella notte. Così la filosofia, in una buia epoca di crisi e di passaggio tra
il vecchio e il nuovo, ha la capacità di vedere i fenomeni.
La filosofia deve dunque “mantenersi in pace con la realtà” e rinunciare alla
pretesa assurda di determinarla e guidarla. Deve soltanto portare nella forma
del pensiero, cioè elaborare in concetti, il contenuto reale che l’esperienza
le offre, dimostrandone, con la riflessione, l’intrinseca razionalità e necessità. Si è sempre visto in essa il simbolo stesso della vocazione contemplativa e della rinuncia alla trasformazione del mondo da parte di Hegel: sembra, infatti, che egli affidi al pensiero il compito di registrare passivamente una situazione storica già svoltasi e di rifugiarsi nella notte della propria interiorità.
In Hegel troviamo un altro animale simbolo in contrappeso alla civetta: la talpa. La talpa, presente nelle berlinesi Lezioni sulla filosofia della storia, è l’espressione della storia che lavora sottoterra e quindi scava producendo degli effetti, al contrario della civetta che è capace di vedere nel buio ma non di agire. Il contributo della filosofia consiste (al pari dell'intervento dello Stato nella sfera economica della società civile) nel chiarire e mitigare i conflitti. È un’immagine che proviene dall’Amleto di Shakespeare, un autore che ha avuto un peso enorme in Hegel, molto più di tanti filosofi, grazie alla sua visione tragica, e anche “dialettica”, della storia. Quindi mentre la filosofia contempla, la storia lavora. In Hegel queste due immagini hanno un equivalente nei popoli: i tedeschi sono la civetta, sono un popolo contemplativo; i francesi, per converso, agiscono molto, ma magari pensano poco. Per cui Hegel, come il giovane Marx, che fonderà una rivista chiamata Annali franco-tedeschi, è in favore di questa unione virtuosa tra l’intellighenzia tedesca e la capacità politica e trasformatrice dei francesi. In realtà, Hegel esalta il campo d'azione della filosofia, come si legge in una lettere del 1808: "Il lavoro teoretico, me ne vado convincendo ogni giorno di più, produce nel mondo più che non il pratico; una volta rivoluzionato il regno della rappresentazione, la realtà effettuale non tiene più". Questi chiarimenti delineano il tratto essenziale della filosofia e della personalità di Hegel. L’autentico compito che Hegel ha inteso attribuire alla filosofia (e ha cercato di realizzare con la sua filosofia) è la giustificazione razionale della realtà, della presenzialità, del fatto.
In Hegel troviamo un altro animale simbolo in contrappeso alla civetta: la talpa. La talpa, presente nelle berlinesi Lezioni sulla filosofia della storia, è l’espressione della storia che lavora sottoterra e quindi scava producendo degli effetti, al contrario della civetta che è capace di vedere nel buio ma non di agire. Il contributo della filosofia consiste (al pari dell'intervento dello Stato nella sfera economica della società civile) nel chiarire e mitigare i conflitti. È un’immagine che proviene dall’Amleto di Shakespeare, un autore che ha avuto un peso enorme in Hegel, molto più di tanti filosofi, grazie alla sua visione tragica, e anche “dialettica”, della storia. Quindi mentre la filosofia contempla, la storia lavora. In Hegel queste due immagini hanno un equivalente nei popoli: i tedeschi sono la civetta, sono un popolo contemplativo; i francesi, per converso, agiscono molto, ma magari pensano poco. Per cui Hegel, come il giovane Marx, che fonderà una rivista chiamata Annali franco-tedeschi, è in favore di questa unione virtuosa tra l’intellighenzia tedesca e la capacità politica e trasformatrice dei francesi. In realtà, Hegel esalta il campo d'azione della filosofia, come si legge in una lettere del 1808: "Il lavoro teoretico, me ne vado convincendo ogni giorno di più, produce nel mondo più che non il pratico; una volta rivoluzionato il regno della rappresentazione, la realtà effettuale non tiene più". Questi chiarimenti delineano il tratto essenziale della filosofia e della personalità di Hegel. L’autentico compito che Hegel ha inteso attribuire alla filosofia (e ha cercato di realizzare con la sua filosofia) è la giustificazione razionale della realtà, della presenzialità, del fatto.
Hegel in un passo
dell’Enciclopedia ha precisato che la sua filosofia non può essere scambiata
per una banale accettazione della realtà in tutti i suoi aspetti, perché non
vanno inclusi nel concetto di “realtà” gli aspetti superficiali e accidentali
dell’esistenza. Per Hegel è "razionale" e dunque "reale"ciò che nella storia avanza, producendo effetti, non ciò che nella storia viene colto istantaneamente. Tuttava come possa esistere l’accidentale in una realtà razionale e
necessaria resta oscuro. Gli “accidenti” rappresentano ciò che non si lascia
ridurre alla ragione, cioè alla sua filosofia.
Nella vita ordinaria si
chiama a casaccio realtà ogni capriccio, l'errore, il male e ciò che è su
questa linea, come pure ogni qualsiasi difettiva e passeggera esistenza. Ma già
anche per l'ordinario modo di pensare un'esistenza accidentale non meriterà
l'enfatico nome di reale: l'accidentale è un'esistenza che non ha altro maggior
valore di un possibile, che può non essere allo stesso modo che é. Ma, quando
io ho parlato di realtà, si sarebbe pur dovuto pensare al senso nel quale
adopero quest'espressione, giacché in una mia estesa Logica ho trattato anche
della realtà, e l'ho accuratamente distinta non solo dall'accidentale, che pure
ha esistenza, ma altresì dall'essere determinato, dall'esistenza e da altri
concetti [1].
Questo compito egli l’ha
affrontato con maggiore energia proprio là dove esso sembra più rischioso: cioè
nei confronti della realtà politica, dello Stato: infatti può sembrare ovvio
che il mondo naturale sia razionale, in quanto regolato da leggi necessarie,
mentre è più difficile riconoscere che qualsiasi costruzione storica dell’uomo
sia l’espressione di una necessità razionale, e che quindi debba essere
accettata così com’è.
A partire da questa
precisazione taluni critici hanno negato il carattere giustificazionista della
filosofia hegeliana: un filone interpretativo che va da Engels a Marcuse
(pensatori della “sinistra rivoluzionaria”), pur ammettendo gli aspetti
conservatori del pensiero hegeliano, ha tuttavia cercato di mostrare come esso
possa venir letto in modo dinamico e rivoluzionario. Infatti, secondo tali
autori l’aforisma di Hegel significherebbe in sostanza che il reale è destinato
a coincidere con il razionale, mentre l’irrazionale è destinato a perire. In
altre parole, non tutto ciò che è semplicemente esistente è reale, ma ciò che
ha la potenzialità di trasformarsi. Ora, questa lettura di Hegel rappresenta,
più che un’interpretazione, una correzione di Hegel alla luce degli ideali
rivoluzionari dei suoi autori. In conclusione ci sembra che i testi di Hegel
documentino in modo chiaro e inequivocabile il suo atteggiamento
fondamentalmente giustificazionista nei confronti della realtà.
[1] G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in
compendio, Laterza, Bari, 1975, pagg. 9-11, 14, 22-23, 26-27.
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