venerdì 7 dicembre 2012

Hegel: i capisaldi del sistema hegeliano


I CAPISALDI DEL SISTEMA HEGELIANO


Per poter seguire proficuamente lo svolgimento del pensiero di Hegel risulta indispensabile aver chiare, sin dall’inizio, le tesi di fondo del suo idealismo: 
a) la risoluzione del finito nell’infinito;  
b) l’identità fra ragione e realtà
c) la funzione giustificatrice della filosofia.
a) Finito e infinito
Con la prima tesi Hegel intende dire che la realtà non è un insieme di sostanze autonome, ma un organismo unitario, detto assoluto, di cui tutto ciò che esiste è parte o manifestazione. Lungi dall’essere una totalità armoniosa, l’ASSOLUTO hegeliano si presenta come una totalità articolata che unisce parti diverse, anche opposte, senza annullare le differenze. L’Assoluto risulta essere quindi l’UNIONE DELL’UNIONE E DELLA NON UNIONE, "sintesi di identità e differenza". Nell’Assoluto, la conflittualità non lacera l’unità ma la rende più ricca, divenendo la condizione che ne favorisce la realizzazione. Tale organismo, l’Assoluto, non avendo nulla al di fuori di sé e rappresentando la ragion d’essere di ogni realtà, coincide con l’Infinito. I vari enti del mondo, di contro, essendo manifestazioni di esso, coincidono con il finito. Di conseguenza, il finito, come tale, non esiste, perché ciò che noi chiamiamo finito è nient’altro che un’espressione parziale dell’Infinito. Infatti, come la parte non può esistere se non in connessione con il Tutto, in rapporto al quale soltanto ha vita e senso, così il finito esiste unicamente nell’infinito e in virtù dell’infinito. Detto altrimenti: il finito, in quanto è reale, non è tale, ma è lo stesso infinito.
Se la concezione cristiana si basa sulla fede in un Dio creatore trascendente e ontologicamente distinto dal creato, l’hegelismo si configura come una forma di monismo panteistico: esiste un’unica realtà divina (monismo) di cui il mondo visibile costituisce la realizzazione o la manifestazione.  Tuttavia il panteismo di Hegel si differenzia da quello moderno di Giordano Bruno e di Spinoza: questi sostengono che l’Assoluto è una Sostanza statica che coincide con la Natura; per Hegel invece l’Assoluto si identifica con un Soggetto spirituale in divenire, come una realtà spirituale che ha il carattere della trasformazione, del continuo “farsi altro”, di cui tutto ciò che esiste è un “momento” o una “tappa” di realizzazione. La totalità è movimento, processo, divenire, trasformazione: è - dice Hegel - vita. Le differenze e le opposizioni, come già detto, non si annullano, bensì interagiscono in un processo continuo, in un farsi infinito. Infatti, dire che la realtà non è “Sostanza”, ma “Soggetto”, significa dire, secondo Hegel, che essa non è qualcosa di immutabile e di già dato, ma un processo di autoproduzione che soltanto alla fine, cioè con l’uomo (= lo Spirito, che è piena “consapevolezza della totalità”), giunge a rivelarsi per quello che è veramente: “Il vero scrive Hegel nella Prefazione alla Fenomenologia dello Spirito è l’intero. Ma l’intero è soltanto l’essenza che si completa mediante il suo sviluppo. Dell’Assoluto devesi dire che esso è essenzialmente Risultato, che solo alla fine è ciò che è in verità...”. In altre parole, poiché la totalità è processo, la verità è il culmine del processo. Il divenire dello Spirito comprende inevitabilmente momenti drammatici di conflitto, di lacerazione, di sconfitta, in altre parole, di negazioni e differenze, ricondotte ad un'unità superiore, come vedremo, dalla ragione. La filosofia, scrive Hegel, deve attraversare il suo “venerdì santo speculativo” prima di arrivare alla domenica di Pasqua. Ma proprio qui sta la novità di Hegel: il negativo non è l’ultima parola. Il negativo è un momento essenziale del positivo e dell’Assoluto concreto verso cui si tende. Il movimento stesso è reso possibile dalle differenze, o "opposizioni", e dal superamento in un'unità superiore, che genera altre opposizioni e altre unificazioni, e così via. Il pensiero, dunque, è un processo in cui i concetti trapassano l'uno nell'altro, attraverso opposizioni e sintesi continue.
b) Ragione e realtà
Il Soggetto spirituale infinito che sta alla base della realtà viene denominato da Hegel con il termine di Idea o di Ragione, intendendo con queste espressioni l’identità di pensiero ed essere, o meglio, di ragione e realtà. In questo senso, per Hegel è inammissibile il dualismo di pensiero e realtà come sostanze separate ed eterogenee. Il pensiero è realtà e la realtà è pensiero, spirito. Ciò implica anche che tra logica ed ontologia, tra logica e metafisica non sussiste alcuna differenza. Da ciò il noto aforisma, contenuto nella Prefazione ai Lineamenti di filosofia del diritto, che è stato oggetto delle più svariate interpretazioni, in cui si riassume il senso stesso dell’hegelismo: Ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale.
Con la prima parte della formula, Hegel intende dire che la razionalità non è pura idealità, costruzione astratta, schema, doveressere, ma la forma stessa di ciò che esiste, poiché la ragione “governa” il mondo e lo costituisce. In altre parole, se l’Assoluto non si incarna nel mondo è vuoto, astratto, formale.
Viceversa, con la seconda parte della formula, Hegel intende affermare che la realtà è una connessione unitaria che ha i caratteri della necessità, cioè non è un confuso insieme di avvenimenti casuali, non è una materia caotica, ma il dispie­garsi di una struttura razionale (l’Idea o la Ragione) che si manifesta in modo inconsapevole nella natura e in modo consapevole nell’uomo: se il reale non si riconosce nel razionale è privo di significato, è senza senso. Per cui, con il suo aforisma, Hegel non esprime la semplice possibilità che la realtà sia penetrata o intesa dalla ragione, ma la necessaria, totale e sostanziale identità di realtà e ragione. Tuttavia tale identità non va intesa semplicemente e staticamente: essa implica anche l’identità fra essere e doveressere, in quanto ciò che è risulta anche ciò che razionalmente deve essere. Tant’è vero che le opere di Hegel sono costellate di osservazioni piene di ironia e di scherno a proposito dell’ “astratto” e moralistico doveressere che non è, dell’ideale che non è reale. Il mondo, in quanto è, e così com’è, è razionalità dispiegata, ovvero ragione reale e realtà razionale che si manifesta attraverso una serie di momenti necessari che non possono essere diversi da come sono. Infatti, da qualsiasi punto di vista guardiamo il mondo, troviamo ovunque, secondo Hegel, una rete di connessioni necessarie e di “passaggi obbligati” che costi­tuiscono l’articolazione vivente dell’unica Idea o Ragione. In altri termini, Hegel, secondo uno schema tipico della filosofia romantica, ritiene che la realtà costituisca una totalità processuale necessaria, formata da una serie ascendente di “gradi” o “momenti”, che rappresentano, ognuno, il risultato di quelli precedenti ed il presupposto di quelli seguenti.
c) La funzione giustificatrice della filosofia
Coerentemente con il suo orizzonte teorico, fondato sulle categorie di totalità e di necessità, Hegel ritiene che il compito della filosofia consista nel prendere atto della realtà e nel comprendere le strutture razionali che la costituiscono: “Comprendere ciò che è è il compito della filosofia, poiché ciò che è è la ragione”. Compito della filosofia non è quella di dare delle lezioni di razionalità al reale perché il reale è già razionale: a dire come dev’essere il mondo, la filosofia arriva sempre troppo tardi; giacché sopraggiunge quando la realtà ha compiuto il suo processo di formazione. Essa, afferma Hegel con un paragone famoso, è come la nottola di Minerva, la civetta che accompagna la dea della sapienza, che inizia il suo volo sul far del cre­puscolo, cioè quando la realtà è già bell’e fatta. La civetta, infatti, ha grandi occhi ed è capace di vedere nella notte. Così la filosofia, in una buia epoca di crisi e di passaggio tra il vecchio e il nuovo, ha la capacità di vedere i fenomeni. La filosofia deve dunque “mantener­si in pace con la realtà” e rinunciare alla pretesa assurda di determinarla e guidarla. Deve soltanto portare nella forma del pensiero, cioè elaborare in concetti, il conte­nuto reale che l’esperienza le offre, dimostrandone, con la riflessione, l’intrinseca razionalità e necessità. Si è sempre visto in essa il simbolo stesso della vocazione contemplativa e della rinuncia alla trasformazione del mondo da parte di Hegel: sembra, infatti, che egli affidi al pensiero il compito di registrare passivamente una situazione storica già svoltasi e di rifugiarsi nella notte della propria interiorità.
In Hegel troviamo un altro animale simbolo in contrappeso alla civetta: la talpa. La talpa, presente nelle berlinesi Lezioni sulla filosofia della storia, è l’espressione della storia che lavora sottoterra e quindi scava producendo degli effetti, al contrario della civetta che è capace di vedere nel buio ma non di agire. Il contributo della filosofia consiste (al pari dell'intervento dello Stato nella sfera economica della società civile) nel chiarire e mitigare i conflitti. È un’immagine che proviene dall’Amleto di Shakespeare, un autore che ha avuto un peso enorme in Hegel, molto più di tanti filosofi, grazie alla sua visione tragica, e anche “dialettica”, della storia. Quindi mentre la filosofia contempla, la storia lavora. In Hegel queste due immagini hanno un equivalente nei popoli: i tedeschi sono la civetta, sono un popolo contemplativo; i francesi, per converso, agiscono molto, ma magari pensano poco. Per cui Hegel, come il giovane Marx, che fonderà una rivista chiamata Annali franco-tedeschi, è in favore di questa unione virtuosa tra l’intellighenzia tedesca e la capacità politica e trasformatrice dei francesi. In realtà, Hegel esalta il campo d'azione della filosofia, come si legge in una lettere del 1808: "Il lavoro teoretico, me ne vado convincendo ogni giorno di più, produce nel mondo più che non il pratico; una volta rivoluzionato il regno della rappresentazione, la realtà effettuale non tiene più". Questi chiarimenti delineano il tratto essenziale della filosofia e della personalità di Hegel. L’autentico compito che Hegel ha inteso attribuire alla filosofia (e ha cercato di realizzare con la sua filosofia) è la giustificazione razionale della realtà, della presenzialità, del fatto. 
Hegel in un passo dell’Enciclopedia ha precisato che la sua filosofia non può essere scambiata per una banale accettazione della realtà in tutti i suoi aspetti, perché non vanno inclusi nel concetto di “realtà” gli aspetti superficiali e accidentali dell’esistenza. Per Hegel è "razionale" e dunque "reale"ciò che nella storia avanza, producendo effetti, non ciò che nella storia viene colto istantaneamente. Tuttava come possa esistere l’accidentale in una realtà razionale e necessaria resta oscuro. Gli “accidenti” rappresentano ciò che non si lascia ridurre alla ragione, cioè alla sua filosofia.
Nella vita ordinaria si chiama a casaccio realtà ogni capriccio, l'errore, il male e ciò che è su questa linea, come pure ogni qualsiasi difettiva e passeggera esistenza. Ma già anche per l'ordinario modo di pensare un'esistenza accidentale non meriterà l'enfatico nome di reale: l'accidentale è un'esistenza che non ha altro maggior valore di un possibile, che può non essere allo stesso modo che é. Ma, quando io ho parlato di realtà, si sarebbe pur dovuto pensare al senso nel quale adopero quest'espressione, giacché in una mia estesa Logica ho trattato anche della realtà, e l'ho accuratamente distinta non solo dall'accidentale, che pure ha esistenza, ma altresì dall'essere determinato, dall'esistenza e da altri concetti [1].
Questo compito egli l’ha affrontato con maggiore energia proprio là dove esso sembra più rischioso: cioè nei confronti della realtà politica, dello Stato: infatti può sembrare ovvio che il mondo naturale sia razionale, in quanto regolato da leggi necessarie, mentre è più difficile riconoscere che qualsiasi costruzione storica dell’uomo sia l’espressione di una necessità razionale, e che quindi debba essere accettata così com’è.
A partire da questa precisazione taluni critici hanno negato il carattere giustificazionista della filosofia hegeliana: un filone interpretativo che va da Engels a Marcuse (pensatori della “sinistra rivoluzionaria”), pur ammettendo gli aspetti conservatori del pensiero hegeliano, ha tuttavia cercato di mostrare come esso possa venir letto in modo dinamico e rivoluzionario. Infatti, secondo tali autori l’aforisma di Hegel significherebbe in sostanza che il reale è destinato a coincidere con il razionale, mentre l’irrazionale è destinato a perire. In altre parole, non tutto ciò che è semplicemente esistente è reale, ma ciò che ha la potenzialità di trasformarsi. Ora, questa lettura di Hegel rappresenta, più che un’interpretazione, una correzione di Hegel alla luce degli ideali rivoluzionari dei suoi autori. In conclusione ci sembra che i testi di Hegel documentino in modo chiaro e inequivocabile il suo atteggiamento fondamentalmente giustificazionista nei confronti della realtà.








[1] G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Laterza, Bari, 1975, pagg. 9-11, 14, 22-23, 26-27.

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