Fichte: la missione del dotto
Quella
appena descritta è la missione dell'uomo, considerato come un individuo
isolato. Ma l'uomo non è mai solo, perché è un essere che vive con gli altri e
ha la missione di contribuire alla formazione di tutti gli uomini, facendo prendere
loro consapevolezza della legge morale che è in ognuno. Rientra tra gli istinti
fondamentali dell’uomo l'ammettere che esistano fuori di sé altri esseri
ragionevoli a lui simili, e che egli debba entrare in un rapporto di socialità
con essi. L'istinto sociale è, dunque, un istinto fondamentale dell'uomo: L'uomo - scrive il filosofo - ha la missione di vivere in società; egli
deve vivere in società; se vive isolato, non è un uomo intero e completo, anzi
contraddice a se stesso[1].
L’uomo,
sentendosi un "io finito", ma aspirando all'infinito, cerca di
superare la propria limitatezza partecipando alla vita degli altri esseri
finiti a lui simili per natura, perché dotati di ragione, e in tal modo
realizza la società.
Rivolgendosi
ai suoi giovani studenti universitari di Jena, nelle celebri Lezioni sulla missione del dotto, Fichte
pronuncia le seguenti ispirate e impegnative parole:
Voi giovani siete a vostra volta destinati a
operare potentemente sull'umanità, a diffondere un giorno in una cerchia più o
meno larga, sia con l'insegnamento che con l'azione, sia in entrambi i modi, la
cultura che voi stessi avete ricevuta e così a innalzare beneficamente, per
ogni dove, i nostri comuni fratelli a un grado più elevato di cultura; e io
ora, operando per la vostra formazione spirituale, contribuisco probabilmente
all'educazione di milioni di uomini ancora non nati[2].
Gli
uomini devono vivere in società e tendere - questo è il fine supremo della
società - alla completa unità di tutti i suoi membri. Tale finalità si basa sul
presupposto che gli altri uomini sono esseri ragionevoli simili a noi, con i
quali dobbiamo, dunque collaborare in vista del perfezionamento morale di
tutti. Infatti, dato che la ragione presente in me richiede che io mi comporti
in modo ragionevole nella vita morale, posso esser certo che tale ragione,
presente in ogni uomo, richieda il medesimo impegno a tutti. E io stesso,
essere dotato di ragione, voglio che la ragione trionfi non soltanto in me - il
che sarebbe poca cosa - ma anche negli altri uomini.
Guardando
più da vicino il tipo di relazione che gli uomini devono stabilire tra di loro,
osserviamo che essi, in quanto dotati di ragione, devono obbedire a una duplice
norma, una negativa e l'altra positiva. Innanzi tutto, non devono trattare gli
altri uomini come mezzi, ma sempre solo come fini, come aveva già detto Kant.
Se, infatti, io calpesto la libertà dell'altro, per ciò stesso distruggo la mia
stessa libertà, rendendomi schiavo delle passioni e dell'egoismo. In secondo
luogo, la legge morale ci impone di tendere non solo al nostro perfezionamento,
ma anche a quello altri, attraverso l'educazione. E ciò si dimostra dal fatto
che il fine della società è l’unità di tutti gli individui, un’unità che si
consegue soltanto qualora tutti ricerchino la perfezione morale che, pur
essendo irrealizzabile, va tuttavia perseguita con tutto l'impegno possibile.
Dalle
considerazioni precedenti, Fichte fa discendere un'importante distinzione,
quella tra società e Stato. Il vivere nello Stato non rientra tra le finalità
assolute dell'uomo, a differenza del vivere in società, che invece si riferisce
alla sua stessa natura. Lo Stato è per Fichte qualcosa di meramente empirico,
che ora esiste, ma che potrebbe anche scoprire qualora gli uomini fossero
migliori. Lo Stato, infatti, è detentore dei poteri della costrizione e della
repressione grazie ai quali riporta l'ordine tra gli uomini. Esso è, dunque,
uno strumento in vista della migliore organizzazione possibile, ma non è un
fine. Al pari delle stesse istituzioni umane, che sono semplici mezzi, esso
deve proporsi come proprio obiettivo quello di diventare inutile: scopo di ogni
governo è quello di rendersi superfluo, come scopo di ogni buon padre è quello
di far crescere il figlio in autonomia e dunque di lasciarlo sviluppare in
autonomia. Oggi non è arrivato ancora tale momento, osserva il filosofo, né è
possibile dire quando si verificherà, ma è sicuro che su quella via di progresso che è tracciata a priori all'umanità, è
segnato un tal momento, in cui tutte le costrizioni esercitate dallo Stato
saranno superflue[3]. La
società perfetta, infatti, è quella in cui regna la libera collaborazione tra
gli e in cui tutte le volontà riescono a trovare liberamente il reciproco
accordo, in una superiore e razionale armonia di intenti. Abbandonandosi
all'utopia, Fichte sogna, dunque, un futuro non meglio determinato, in cui
l’uomo, libero dagli egoismi e dalle passioni, si farà guidare soltanto dalla
ragione, la quale saprà porre rimedio agli errori (sempre possibili), senza
bisogno di ricorrere all'autorità coercitiva dello Stato:
È quel momento in cui sarà universalmente
riconosciuta, come giudice supremo, la pura ragione in luogo della forza o
dell'astuzia. Dico sarà riconosciuta, poiché anche allora gli uomini porranno errare
e per errore danneggiare i loro simili; ma essi allora avranno tutti
necessariamente la volontà pronta a lasciarsi convincere dell'errore e, appena
convinta di ciò, a ritrarsene e a risarcire il danno. Prima che questo momento
sia giunto, noi non siamo ancora (universalmente considerati) neppure veri
uomini[4].
Per
quanto utopistica, questa pagina del filosofo rappresenta, però, la spia più
eloquente della sua prospettiva idealistica, che vede l'uomo come
caratterizzato dallo sforzo continuo di raggiungere una perfezione che,
spostandosi sempre in avanti, non viene mai davvero raggiunta. E al
perfezionamento infinito dell'umanità, grazie alla missione del dotto, Fichte
dedica le pagine più belle delle sue celebri Lezioni.
Il
dotto è la figura dell'intellettuale che ancor più degli altri uomini, non può
vivere da solo, incurante delle sorti degli altri. Al contrario, il dotto è
destinato in modo specialissimo alla vita sociale, avendo il compito di
condurre tutti gli altri alla consapevolezza dei veri bisogni e di indicare i
mezzi più adatti per raggiungere tale obiettivo. La missione del dotto è la più
alta di tutte, ma ciò non significa che egli debba insuperbirsi, anzi il dotto
ha motivi per essere il più modesto di tutti, perché resterà sempre lontano dalla
meta che gli è assegnata, quella di realizzare un ideale di umanità assai
nobile, che di solito non si riesce a guardare se non da lontano. Ma che cosa
deve fare il dotto? Deve provvedere all’eguale sviluppo di tutte le facoltà
dell'uomo e stimolare l’umanità a perseguire tale ideale. A tal fine, il dotto
deve avere innanzi tutto la conoscenza scientifica dei bisogni umani, intesa
però dal punto di vista filosofico, ossia come conoscenza dei doveri spirituali
e morali dell'uomo. Da questa prospettiva, Ficthe ritiene che la filosofia sia
la scienza suprema, perché è quella che più di tutte, riesce a determinare la
vera natura dell'uomo. In secondo luogo, tocca al dotto indicare i mezzi più
idonei al raggiungimento della suddetta perfezione spirituale, perché una
filosofia in grado di fare ciò sarebbe inesorabilmente pessimistica e inutile.
A tale scopo, la filosofia deve farsi coadiuvare dalla storia, che guarda
indietro e registra i dati e gli stadi del perfezionamento morale che lo
Spirito ha raggiunto nelle epoche del passato. La storia, dunque, è importante
perché ci fa cogliere i fatti, ma senza la filosofia è incapace di
interpretarli e orientarci verso il futuro. Storia e filosofia, dunque,
rappresentano i contenuti essenziali del patrimoni conoscitivo del dotto, un
patrimonio che Fichte denomina dottrina del dotto e deve riuscire utile alla
società:
Lo scopo di tutte queste conoscenze - scrive Fichte - è dunque,
quello di procurare che per mezzo di esse siano sviluppate in modo uniforme,
però con costante progresso, tutte le attitudini proprie dell'umanità; e di qui
si ricava, allora, la vera missione che è assegnata alla classe colta: essa
consiste nel sorvegliare dall'alto il progresso effettivo del genere umano in
generale e nel promuovere costantemente questo progresso[5].
Attribuendo
al dotto la missione di sorvegliare "dall'alto" il progresso umano,
l'autore non intende porre l'intellettuale su un piedistallo che lo separi
dagli altri uomini, ma vuole riferirsi alla più profonda cultura del dotto che
lo mette in grado di comprendere ciò che gli altri trascurano e, per
conseguenza, di guidare il processo della storia. Il dotto, dunque, deve
vegliare sui progressi delle altre classi sociali, ma per adempiere a tale
gravoso ufficio, deve sforzarsi di progredire egli stesso, poiché dal suo
progredire dipendono tutti progressi possibili negli altri campi della cultura.
Egli deve essere sempre innanzi agli
altri – dice il filosofo - per aprir
loro la strada, esplorarla innanzi a loro e fare da guida[6].
Per quanto tali parole oggi possano sembrare fuori luogo, non si dimentichi il
contesto storico in cui il filosofo le aveva pronunciate, quando la cultura non
era diffusa e l'istruzione muoveva i primi passi nella direzione
dell'alfabetizzazione di massa proprio grazie alle intuizioni di Fichte e del
suo amico, il grande pedagogista svizzero Johann Heinrich Pestalozzi
(1746-1827), che dedicò tutta la sua vita alla causa dell'educazione, aprendo
in campagna una scuola elementare per i bambini poveri, in un terreno di sua
proprietà.
Domenico Massaro, La Comunicazione
Filosofica, Vol II, Paravia, pp. 628-631.
La missione del dotto (sintesi)
Ogni
epoca storica presenta determinati aspetti del non-io perché, come detto,
superati certi ostacoli, ne nascono di nuovi. Lo scopo principale diviene farsi
liberi e rendere liberi gli altri in vista della completa unificazione del
genere umano. Si richiede, pertanto, secondo Fichte, la mobilitazione di coloro
che possiedono la maggior consapevolezza teorica, cioè dei “dotti”. Infatti,
Fichte, nelle Lezioni sulla missione del
dotto (1794), sostiene che gli intellettuali non devono essere degli
individui isolati e chiusi nella torre della loro scienza, ma devono essere
delle persone pubbliche e con precise responsabilità sociali: Il dotto è il modo specialissimo destinato
alla società; in quanto tale egli esiste propriamente mediante e per la società…..deve condurre gli uomini alla coscienza
dei loro veri bisogni e istruirli sui mezzi adatti a soddisfarli. Si
delinea in questo passo la funzione di guida spirituale del dotto che, quale
maestro ed educatore, quale uomo moralmente migliore del suo tempo, deve
condurre gli uomini alla consapevolezza dei loro veri bisogni e i mezzi per
conseguirli. Si tratta non dei bisogni materiali, ma di quelli spirituali. Il
dotto, col suo lucido intelletto, deve guardare più lontano, deve scorgere
prima degli altri quali sono gli ostacoli che il non-io pone nell’epoca storica
in cui vive e indicare la rotta del progresso, per aiutare l’uomo a elaborare
la strategia migliore, atta a superare questi ostacoli che si frappongono
all’ulteriore liberazione dell’umanità. L’uomo di cultura deve costituire
l’avanguardia dell’umanità che combatte per la propria libertà. Il fine supremo di ogni singolo uomo, come
della società tutta intera, e – per conseguenza – di tutta l’operosità sociale
del dotto è il perfezionamento morale di tutto l’uomo. Per esercitare la
sua funzione di guida, il dotto non deve essere chiuso nell’orizzonte del
presente, ma deve guardare al futuro, un futuro visto in modo utopistico dal
filosofo come la realizzazione finale dello Spirito assoluto del mondo. Certo,
Fichte riconosce in tutti gli uomini il “senso del vero”, ossia quella capacità
naturale di riconoscere verità naturali semplici e comuni, che possano
costituire le premesse per il riconoscimento della verità come tale, ma tale
sentimento del vero da solo non basta: esso dev’essere sviluppato, saggiato,
raffinato. In altri termini, il dotto, come già ricordato, deve farsi maestro
ed educatore del genere umano.
Sintesi
da:
Domenico Massaro, La Comunicazione
Filosofica, Vol II, Paravia, pp. 645-647.
Abbagnano-Fornero,
Itinerari di Filosofia, Vol II B,
Paravia, p. 852.
Lezione
di Antonio Gargano, preside Istituto
Italiano Per Gli Studi Filosofici di Napoli.
Aghju diagnosticatu cun MPE cun 55-60% di pulmonary capacity. U mo duttore hà dettu chì tuttu u chianciu, stomping your feet ùn cambie micca per accettà cum'è accettà è toccu in bracciale nantu à a volta è mi mannò in casa per mourri. Iu era devastatu è si scantava di fà nunda. Paria a camminate a mo bicicletta, mi scistia ferà qualcosa chì fateva qualsiasi sforzu. Mi cunsumava i mo pensi cù ogni alu è u scantu di ciò ch'è aspittà era quasi più di quandu putevi trattà. Allora ùn pudia pigliàrimi un pocu tempu, decisu di truvà una curazione in basa di basa è aghju avutu l'acrose Doctor Itua nantu à cumu guariscenu parechje persone chì soffrenu di Hiv, è Herpes li dete una chjamata annantu à questu numiru +2348149277967 ancu chat on whatsapp mi dettiru tutte e dettagli nantu à a guariscenza i hà pagatu per a medicina, dopu à 5 ghjurnati di ghjornu, aghjunghje a me medicina farfalla, l'aghju utilizatu da duie simane è quandu aghju stati guariti è oghje sò vivu sanu è beniu aghju aghju aghjetu ancu prumesse ch'ellu deve tistimunà di u so travagliu, Poni ancu guariscenu e seguenti malati ... Copd, Herpes, Alzheimer's disease, carcinoma.Asthma, Allergic diseases.Parkinson's, Epilepsy, Cancer, Fibromyalgia, Hiv, Hepatitis, diabetes, Celiac disease, Infertility, Asthma.Contact ... drituaherbalcenter @ gmail.com..Whatsapp Number ... + 2348149277976
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