martedì 8 ottobre 2013

I Pitagorici: i numeri irrazionali


GLI IRRAZIONALI: I NUMERI "CONTRARI" ALLA RAGIONE

L'eredità rivoluzionaria della scuola pitagorica
Alla scuola pitagorica si deve, come sappiamo, una delle più grandi conquiste dell'umanità, cioè la fondazione scientifica della matematica, così come è pitagorica l'idea della struttura matematica del mondo, che nel XVII secolo, con Galileo Galilei (1564-1642), si rivelerà centrale per la nascita della scienza moderna. Ai pitagorici, infine, si deve la prospettiva secondo cui l'intera vita del cosmo è retta da leggi esprimibili in termini di rapporti numerici, e proprio questa tesi metafisica finì per costituire sia il limite del pensiero pitagorico (e la causa contingente dello scioglimento della scuola), sia la ragione della sua grandezza e imprescindibilità per il pensiero scientifico successivo.

UNA NUOVA IDEA DI “VERITÀ”
I pitagorici intendevano i numeri come entità corporee, cioè come vere e proprie "cose" dotate di grandezza:
"[Per i pitagorici] esiste solo il numero matematico: ma essi sostengono che questo non è separato [dalle cose corporee] e che, anzi, è il costitutivo immanente delle sostanze sensibili. Essi costruiscono tutto quanto l'universo con i numeri: e questi sono non pure unità," ma unità dotate di grandezza.
(Aristotele, Metafisica, XIII, 6, 1080b, pp. 16-22)

I numeri di cui parlavano i pitagorici erano quindi gli elementi ultimi e indivisibili di cui erano costituiti tutti i corpi. Non a caso, coincidevano fondamentalmente con i numeri interi positivi, ovvero con quelli che noi oggi chiamiamo "numeri naturali" (l'1, il 2, il 3 ecc.) e non comprendevano lo zero, che, in quanto “entità nulla” era per loro inimmaginabile.
Questa idea, se da una parte ha un suo fondamento nel modo in cui di fatto si apprende il concetto di numero, e cioè compiendo l'atto di enumerare o contare (vedendo e quantificando delle entità sensibili), dall'altra va incontro a una difficoltà in cui gli stessi pitagorici non poterono evitare di imbattersi.
Questa idea, se da una parte ha un suo fondamento nel modo in cui di fatto si apprende il concetto di numero, e cioè compiendo l'atto di enumerare o contare (vedendo e quantificando delle entità sensibili), dall'altra va incontro a una difficoltà in cui gli stessi pitagorici non poterono evitare di imbattersi.
Come è noto, a Pitagora si attribuisce il famoso teorema per cui, in un triangolo rettangolo, il quadrato costruito sull'ipotenusa è uguale alla somma dei quadrati costruiti sui cateti. Sulla base di questo teorema, i pitagorici cercarono di individuare il rapporto tra la diagonale e il lato di un quadrato, scoprendo che esso non corrispondeva né a un numero intero, né a una frazione tra numeri interi, bensì a √2, il cui valore non può essere calcolato se non per approssimazioni via via maggiori, tendenti all'infinito (1,414213562373 ... ).
La scoperta dell'esistenza di due grandezze tra loro incommensurabili (la diagonale e il lato di un quadrato, appunto) rappresentò, per un verso, il motivo della fine della concezione pitagorica del numero e, per l'altro verso, l'eredità più grande trasmessa dai pitagorici al pensiero filosofico e scientifico successivo. Essa, infatti, aprì ufficialmente le porte al concetto di infinito e al metodo dimostrativo.
Se l'accettazione dell'infinito, o della divisibilità all'infinito (rappresentata da tutte le cifre che in (2 vengono dopo la virgola) fu uno dei maggiori ostacoli che il pensiero greco si trovò ad affrontare, la dimostrazione divenne invece un caposaldo della riflessione filosofica e scientifica (si pensi agli Elementi del matematico greco Euclide). E proprio l’incommensurabilità tra la diagonale e il lato del quadrato costituì il primo grande esempio di "verità" che si è costretti ad accettare in base a pure argomentazioni, di una verità che era stata dimostrata in modo talmente rigoroso da avere la forza di sfidare perfino le credenze metafisiche più radicate. In altre parole: se, prima della dimostrazione dell'esistenza delle grandezze incommensurabili, il pensiero pitagorico concepiva la verità come qualcosa che doveva essere in accordo con l'esperienza dei sensi (in particolare della vista) e, perciò, come qualcosa di “positivo”,  in seguito si fece strada l'idea che una verità non dovesse necessariamente essere “vista”, ma potesse scaturire da una semplice dimostrazione, cioè da un “ragionamento” e questo fece fare alla matematica greca un vero e proprio “salto” verso un pensiero davvero "razionale".

UNA NUOVA IDEA DI "RAGIONE"
Paradossalmente, la scoperta delle grandezze incommensurabili portò però con sé anche un'altra importante conseguenza, ovvero la trasformazione del concetto stesso di “ragione”.
Per i pitagorici la realtà era "razionale" in quanto esprimibile mediante numeri interi o rapporti tra numeri interi (ancora oggi, noi chiamiamo "razionali quei numeri che possono essere espressi mediante frazioni di interi). Le grandezze incommensurabili costituivano quindi un vero e proprio scandalo: i pitagorici le definirono “irrazionali” in greco a-loga, cioè prive di logos (di ragione), distinguendole dai numeri, che non potevano che essere razionali. La differenza tra i numeri e le grandezze divenne così (per i pitagorici e per tutta la matematica greca) la differenza tra le quantità discrete oggetto dell'aritmetica e le quantità continue oggetto della geometria.
L'accettazione del concetto di “numero irrazionale” cominciò a farsi strada solo con il matematico pitagorico Teodoro di Cirene (nato intorno al 465 a.c.), per essere seguita dal filosofo ateniese Teeteto (415-369 a.c. circa) e dall'astronomo Eudosso di Cnido (409-356 a.c.). Essa costituì per la matematica una grande rivoluzione, che implicò una profonda revisione della stessa idea di numero: non si definì più il rapporto (ratio) a partire dai numeri (interi), ma viceversa il numero fu definito a partire dal rapporto ("razionale" o "irrazionale"). Da allora, "razionale" non è più quel che è misurabile in base a una unità di misura data (un numero intero), ma, in generale, quel che è espresso da un “rapporto”: non a caso la parola latina ratio, come il greco logos, significa anche “rapporto”.
Scrive a questo proposito il logico ed epistemologo parigino Gilles-Gaston Granger (nato nel 1920):
"Da allora l'irrazionalità non appare più come un ostacolo, ma come la più generale condizione della relazione tra grandezze [... ]. L'uso ordinario e filosofico ha mantenuto la parola “irrazionale”; ampliandone tuttavia il significato al di là della situazione originaria di non-rappresentabilità per mezzo di un logos tra numeri interi".
(G.-G. Granger, L'irrationnel, Odile Jacob, Paris 1998, p. 49, trad. nostra)

Così, la scoperta dei numeri irrazionali, che fu il motivo della più grande crisi della scuola pitagorica (e, si può dire, del pensiero antico), attraverso i secoli si rivelò come il motivo della sua maggiore gloria.


LABORATORIO DELLE IDEE

1.       In queste pagine abbiamo richiamato che i numeri come √2 sono formati da infinite cifre decimali: insieme con i numeri irrazionali, nella matematica fece dunque irruzione l'infinito o, meglio, l’idea della divisibilità all’infinito, cioè della possibilità che un'operazione di divisione non si annulli mai (non pervenga mai a un risultato senza "resto"). Questo risultato, così importante per la storia della matematica e per il pensiero filosofico in generale, fu però accettato con difficoltà dai pensatori greci antichi, che faticavano a staccarsi dall’idea di un mondo fatto di "individui" (il latino individuum significa appunto "non-divisibile"), sia a livello fisico (pensiamo agli atomi) sia a livello personale: infatti, se tutto è divisibile all’infinito, che ne è dell’identità di cose e persone? Qual è la tua idea in proposito? Ritieni che esista un "punto" ultimo in cui la divisibilità del reale deve necessariamente arrestarsi, oppure no?
2.  La preziosa lezione che il pensiero pitagorico ha consegnato alla posterità come una conquista definitiva e irrinunciabile è l’idea che la scienza impara dalle sue stesse crisi, il che è anche un invito a non accettare mai come definitive in senso assoluto le sue verità, che possono essere sempre in qualche modo rivedibili. Pensi che sia davvero questa 1’immagine della scienza maggiormente diffusa, e se no perché?

6 commenti:

  1. Come spiegavano i Pitagorici elementi naturali come il fuoco o l'acqua? Non sono numerabili come gli altri oggetti.

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  2. Perchè pensi che il fuoco e l'acqua non siano numerabili? Non dici forse che "nel bosco sono stati avvistati tre incendi"? O che "stanno cadendo solo tre gocce d'acqua"?.......Al di là della loro consistenza particolare, l'acqua e il fuoco sono numerabili e misurabili. Pensa ad esempio alla temperatura, all'estensione, alla capacità, al peso specifico, ecc.

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    1. scusi ma lei come risponderebbe a queste domande ? vorrei prenderla da ispirazione perché non so da dove cominciare sinceramente

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  3. Mi puoi rispondere alle domande sul laboratorio delle idee?

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    1. alla fine sei riuscit* a rispondere ? te lo chiede una dopo 7 anni dal tuo commento

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  4. qualcuno ha risposto al laboratorio delle idee ? mi serve da ispirazione perché non so come rispondere sinceramente

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