Idea, Natura e Spirito. La partizione della filosofia.
Il disegno complessivo
dell'Enciclopedia hegeliana è quello di una grande triade dialettica in cui l’Assoluto, cioè la ragione, nella sua verità, deve giungere a riconoscersi come reale
e ciò compare solo alla fine del processo, quale risultato conclusivo. Ciò non
significa che l’Assoluto non sia compiuto già all’inizio, ma la verità è tale
solo se confermata dalla totalità dello sviluppo. Il reale è già razionale e la
ragione è già reale, solo che essa non ne è pienamente consapevole. Per
giungere a questa consapevolezza deve percorrere un itinerario, deve compiere
un processo che è tutt’altro che scevro di difficoltà: per riconoscersi nel
reale, la ragione deve scontrarsi innanzi tutto con ciò che non si lascia
ridurre ad essa, con qualcosa che la nega. Si tratta della già nota dialettica idealistica, presente anche in
Fichte e Schelling, tra limite e
superamento di esso da parte dello spirito che riconduce ogni realtà all’identità con
sé.
Quindi, anche Hegel ritiene che il
farsi dinamico dell’Assoluto passi attraverso tre momenti: l’Idea in sé
e per sé (tesi), l’Idea fuori di sé (antitesi) e l’Idea
che ritorna
in sé (sintesi). Solo realizzando il ricongiungimento del primo e
dell’ultimo momento, l’Assoluto giunge al proprio maturo compimento,
mostrandosi come soggetto autoconsapevole delle proprie forme e delle proprie
manifestazioni. La verità deve dunque superare la prova del fuoco della realtà.
La dialettica è il percorso che
l’Assoluto compie per giungere alla sua verità; è il percorso attraverso cui
l’Assoluto, inizialmente inconsapevole e puro essere in sé, si appropria delle sue stesse manifestazioni, che
prima esperisce come qualcosa di estraneo, come un essere fuori di sé, acquisendo quell’autoconsapevolezza che Hegel
esprime attraverso la nozione riflessiva di essere
per sé.
Nella fase matura del pensiero hegeliano
questo schema dialettico generale articolerà i contenuti di un sistema completo
di filosofia, secondo tre momenti principali: logica (tesi), natura (antitesi)
e spirito (sintesi). A questi tre momenti strutturali dell'Assoluto Hegel fa corrispondere
le tre sezioni in cui si divide il sapere filosofico:
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1. dottrina dell'essere
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Logica
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2. dottrina dell'essenza
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3. dottrina del concetto
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1. meccanica
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Filosofia della natura
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2. fisica
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3. organica
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a) antropologia
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1. soggettivo
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b) fenomenologia
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c) psicologia
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a) diritto
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Filosofia dello Spirito
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2. oggettivo
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b) moralità
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c) eticità
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a) arte
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3. assoluto
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b) religione
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c) filosofia
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1) la logica, che è la scienza dell’Idea in sé e per sé,
cioè dell’Idea “pura”, considerata in se stessa (= in sé) a prescindere dalla sua concreta realizzazione nella natura.
Da questo angolo prospettico, l’Idea, secondo un noto paragone teologico di
Hegel, è assimilabile a Dio prima della
creazione della natura e di uno spirito finito, ovvero, in termini meno
equivocanti (visto che l'Assoluto hegeliano è un infinito immanente, che non crea
il mondo, ma è il mondo) è assimilabile al programma, all’impalcatura, all’ossatura logico‑razionale della realtà. L'Idea rappresenta
l'insieme organico di tutte le determinazione logiche del reale. Questa idea tutta compiuta e
perfetta in sé ha bisogno però di ritrovarsi nella realtà, di vedere
cioè fino a che punto essa informa veramente di sé la realtà effettiva,
e soprattutto ha bisogno di rispecchiarsi, per giungere alla coscienza di sé.
Comincia così il cammino dell'idea alla ricerca di se stessa nella realtà,
passando per la natura e per lo spirito.
2) la filosofia della natura, che è la scienza dell’Idea nel suo alienarsi da sé, l’Idea fuori di sé o Idea nel suo essere altro: è la Natura, cioè l’estrinsecazione o l’alienazione dell’Idea nelle realtà spazio‑temporali del mondo. Nella natura però essa trova solo una realizzazione parziale, a causa dei limiti propri di quella, e comincia a ritrovarsi, a riflettersi in modo omogeneo e adeguato solo quando incontra la realtà umana. Ma non tutta la realtà umana è adeguata all'idea, giacché l'uomo è anche parte della natura.
3) la filosofia dello spirito, che è la scienza dell’Idea che,
dal suo alienamento, ritorna in sé. È lo Spirito, cioè l’Idea che dopo essersi fatta natura torna presso di sé nell’uomo. L'idea si riflette dunque solo nell'uomo
inteso come spirito e come produttore di
cultura, di prodotti cioè spirituali quali il diritto, la
storia, l'arte, la religione, la filosofia. Solo in queste realtà spirituali
l'idea si troverà realizzata in un modo adeguato alla sua costituzione ideale.
Perciò Hegel può dire: «L'assoluto è lo
spirito: questa è la più alta definizione dell'assoluto» (Enciclopedia delle
scienze filosofiche, tomo II, p. 375).
Ovviamente, questa triade
non è da intendersi in senso cronologico, come se prima ci fosse l’Idea in sé e per sé, poi la Natura e infine lo Spirito, ma in senso ideale. Infatti, ciò che concretamente
esiste nella realtà è lo Spirito (la sintesi), il quale ha come sua coeterna
condizione la Natura (l’antitesi) e come suo coeterno presupposto il programma
logico rappresentato dall’Idea pura (la tesi).
I due elementi strutturali del procedere del
pensiero hegeliano, ma più in generale del processo che l'assoluto deve
compiere, sono: la dialettica, cioè
confronto e superamento del limite, e la circolarità,
cioè identità di inizio e fine.
La Dialettica
Come si è visto, l'Assoluto,
per Hegel, è fondamentalmente divenire, cioè il percorso che l'Assoluto
in generale, ma in modo più capillare anche ogni sua parziale manifestazione,
effettua per giungere alla sua verità.
La legge che regola tale
divenire è la dialettica, che
rappresenta, al tempo stesso, la legge (ontologica) di sviluppo della realtà e
la legge (logica) di comprensione della
realtà. Hegel non ha offerto, della dialettica, una teoria sistematica, limitandosi, per lo più, ad utilizzarla nei vari settori della filosofia. Ciò
non esclude la possibilità di fissare qualche tratto generale di essa.
Nel par. 79 dell'Enciclopedia Hegel distingue tre momenti
o aspetti del pensiero: a) l'astratto o
intellettuale; b) il dialettico o
negativo‑razionale; c) lo speculativo o positivo-razionale.
Il momento astratto o intellettuale è quello in cui “l’intelletto determina e tiene ferme le
determinazioni”. Esso porta a concepire l’esistente sotto forma di una
molteplicità di determinazioni statiche e
separate le une dalle altre. In altri termini, il momento intellettuale (che è
il grado più basso della ragione) è quello per cui il pensiero si ferma alle
determinazioni rigide della realtà,
limitandosi a considerarle nelle loro differenze
reciproche e secondo il principio di identità
e di non‑contraddizione (secondo
cui ogni cosa è se stessa ed è assolutamente diversa dalle altre). L’intelletto
costituisce un importante momento della ricerca scientifica, ma la filosofia
non può fermarsi qui, aprendo a nuovi sviluppi. La filosofia esprime, infatti,
il bisogno di andare oltre, esprime il bisogno di unificazione, di totalità, di
assoluto, tanto più forte quanto più la potenza dell’intelletto divide e
analizza, precisa e definisce, circoscrive e classifica. La filosofia deve
produrre una nuova unificazione che non lasci fuori di sé quegli elementi di
scissione e di lacerazione, ma li comprenda come elementi costitutivi.
Il momento
dialettico o negativo‑razionale “dissolve
in nulla le determinazioni dell’intelletto”; esso consiste nel mostrare
come le sopraccitate determinazioni siano unilaterali ed esigano di essere
messe in movimento, ovvero di essere relazionate con altre determinazioni. Il pensiero è processo,
è movimento continuo e questo movimento è reso possibile dalle differenze, o
“opposizione”, e dal loro superamento in un’unità superiore, che genera altre
opposizioni e unificazioni, e così via.
Infatti, poiché ogni affermazione sottintende una negazione, in quanto
per specificare ciò che una cosa è bisogna implicitamente chiarire ciò che essa
non è, risulta indispensabile
procedere oltre il principio di
identità e mettere in rapporto le varie determinazioni con le determinazioni opposte (ad es. il concetto di “uno”,
non appena venga smosso dalla sua astratta rigidezza, richiama quello di
“molti” e manifesta uno stretto legame con esso. E così dicasi di ogni altro
concetto: il particolare richiama l’universale, l’uguale il disuguale, il bene
il male ecc.).
Il momento speculativo o positivo‑razionale
consiste quindi nel cogliere l’unità delle
determinazioni opposte, ossia nel rendersi conto che tali determinazioni sono
aspetti unilaterali di una realtà più alta che li ri‑comprende o sintetizza
entrambi (ad es., esso “genera
l’universale e in esso comprende il particolare” così come la realtà vera
non è né l’unità in astratto né la molteplicità in astratto, bensì un’unità che
vive
solo attraverso la molteplicità). Quindi, se l’intelletto fissa i concetti distinguendo rigidamente le cose le une
dalle altre, la ragione, che per
Hegel è uno strumento superiore di conoscenza, riesce a rendere “fluidi” i
concetti, negandoli, rovesciandoli nella loro antitesi, togliendo loro la
finitezza, affrancandoli dall’isolamento a cui condannava il primo momento
intellettuale. La dialettica ha un significato globalmente ottimistico, poiché essa ha il compito di unificare il molteplice,
conciliare le opposizioni, pacificare i conflitti, ridurre ogni cosa all’ordine
e alla perfezione del Tutto. Molteplicità, opposizione, conflitto sono senza
dubbio reali secondo Hegel, ma solo come momenti di passaggio. In altri
termini, il negativo, per Hegel, sussiste solo come un momento del farsi del
positivo e la tragedia, nella sua filosofia, è solo l’aspetto superficiale e
transeunte di una sostanziale commedia (nel senso letterale di vicenda avente
un epilogo positivo).
Globalmente e sinteticamente considerata, la dialettica consiste
quindi: 1) nell’affermazione o posizione di un concetto “astratto e limitato”,
che funge da tesi; 2) nella negazione di questo concetto come alcunché di
limitato o di finito e nel passaggio ad un concetto opposto, che funge da
antitesi; 3) nella unificazione della precedente affermazione e negazione in
una sintesi positiva comprensiva di
entrambe. La sintesi si configura come una ri‑affermazione potenziata
dell’affermazione iniziale (tesi), ottenuta tramite la negazione della
negazione intermedia (antitesi). Riaffermazione che Hegel focalizza con il
termine tecnico di Aufhebung il quale
esprime, analogamente al tollere
latino, l’idea di un superamento che
è, al tempo stesso, un togliere (l’opposizione
fra tesi ed antitesi) ed un conservare
(la verità della tesi, dell’antitesi
e della loro lotta). In altri termini, l’Aufhebung
descrive il movimento dialettico con cui una figura concettuale, nel suo
sorgere, rimuove e supera la precedente lasciandola alle proprie spalle, ma al
tempo stesso ne conserva l’esperienza, di modo che la figura rimossa continui a
vivere, come figura deposta, nella successiva:
La
parola togliere ha nella lingua [tedesca] il doppio senso, per cui val quanto
conservare, ritenere, e nello stesso tempo quanto far cessare, metter fine. [.
. .]. Così il tolto
è insieme un
conservato, il quale ha perduto soltanto la sua immediatezza, ma non perciò è
annullato.
G.W.F. Hegel, Scienza
della logica, p.
100
La dialettica non fa che illustrare il principio fondamentale della
filosofia hegeliana: la risoluzione del finito nell’infinito. Infatti essa ci
mostra come ogni finito, cioè ogni spicchio di realtà, non possa esistere in se
stesso (poiché in tal caso sarebbe un Assoluto, ovvero un infinito
autosufficiente) ma solo in un contesto di
rapporti. Infatti, per porre se stesso il finito è obbligato ad opporsi a
qualcos’altro, cioè ad entrare in quella trama di relazioni che forma la realtà e che coincide con il tutto infinito di cui
esso è parte o manifestazione. E
poiché il tutto di cui parla Hegel, ovvero l’Idea, è una entità dinamica, la
dialettica esprime appunto il processo mediante cui le varie parti o determinazioni
della realtà perdono la loro rigidezza, si fluidificano
e diventano “momenti” di un’Idea unica ed infinita. Detto altrimenti, la
dialettica rappresenta la crisi del finito e la sua risoluzione necessaria
nell’infinito: “ogni finito ha questo di
proprio, che sopprime se medesimo. La dialettica forma, dunque, l’anima motrice
del progresso scientifico... in essa, soprattutto è la vera, e non estrinseca
elevazione sul finito”.
Una filosofia
circolare e concentrica
Adesso occorre evidenziare il
carattere circolare dell'andamento dialettico del pensiero hegeliano, o
meglio, del procedere dell'Assoluto, visto che
la filosofia non fa altro che rintracciarne la presenza, senza aggiungere nulla
di personale: Hegel, sin
dall'inizio, precisa che ciò che egli espone non è la
propria filosofia, ma la
filosofia dell'Assoluto che egli s'incarica solo di ricostruire ed esporre.
Pensare dialetticamente significa pensare la realtà come una totalità
processuale che procede secondo lo schema triadico di tesi, antitesi e sintesi.
Si tratta di un andamento circolare in quanto si
parte dall'idea per giungere ad essa in una forma potenziata (concreta) come
spirito; il punto di partenza e
il punto d'arrivo
coincidono in quanto in entrambi i casi si ribadisce l'identità
di pensiero e realtà, di ideale e reale: identità che
nel caso dell'idea è ancora astratta, virtuale;
nel caso dello spirito effettiva, concreta, realizzata. Questa
circolarità ha carattere graduale e ascendente, costituendo
nell'insieme un organismo di cerchi concentrici
di sempre maggiore ampiezza. Concentrici in quanto la circolarità
e la dialetticità (la
successione e reciproca implicazione di tesi-antitesi-sintes) non riguardano
solo i tre momenti principali del sistema (idea-natura-spirito),
ma anche i singoli e parziali
momenti al di sotto, o meglio, all'interno di queste tre circolarità
principali.
Ogni momento si articola così, a sua
volta, in momenti triadici, entro i quali la sintesi costituisce
anche il momento per una nuova tesi, una relativa
antitesi e una successiva sintesi,
fino al momento principale e di lì progressivamente
con andamento sempre dialettico
all'assoluto.
Il sistema hegeliano è perciò un
sistema che cresce su di sé in modo circolarmente concentrico, assimilando in
sé via via tutto il reale, allo scopo
di ricondurlo all'assoluto, di conquistare tutte le regioni del reale sotto il
suo dominio, ovvero di far sì che esso si riconosca in tutta la
realtà che gradualmente fagocita, dimostrando come non ci sia porzione di
realtà che non sia spirituale, identica ad esso ma in un modo diversamente
proporzionale: per cui vi saranno realtà che lo rispecchiano maggiormente (le
realtà spirituali appunto) e altre meno (quelle naturali). Le realtà spirituali
saranno dunque le più concrete non solo in quanto le più adeguate ad accogliere
e a riflettere l'assoluto spirituale, ma anche in quanto rappresentano l'ultima
e massima dilatazione circolare del
sistema, comprendendo cioè al proprio interno tutte le precedenti realtà
attraversate e assimilate dallo spirito.
Ci si può chiedere se la
dialettica hegeliana sia a sintesi aperta
o a sintesi chiusa. Infatti,
poiché ogni sintesi rappresenta a sua volta la tesi di un’altra antitesi, cui
succede un’ulteriore sintesi e così via, sembrerebbe, a prima vista, che la
dialettica esprima un processo costitutivamente aperto. In verità, Hegel pensa
che in tal caso si avrebbe il trionfo della “cattiva infinità” ossia un
processo che, spostando indefinitamente la meta da raggiungere, toglierebbe
allo spirito il pieno possesso di se medesimo. Di conseguenza, egli opta per
una dialettica a sintesi finale chiusa, cioè per una dialettica che ha un ben
preciso punto di arrivo: il circolo si chiude,
esiste cioè un circolo di tutti i circoli che tutti li ricomprende entro di sé
e che rappresenta il punto in cui lo
spirito si riflette completamente nella realtà, e quindi è il punto di chiusura
ovvero di ricongiungimento con l'inizio dell'idea.
La crescita
concentrica ha termine quando la realtà è stata tutta riassorbita nello spirito
o, inversamente, quando essa si è dimostrata, in verità, spirituale: in
questo punto si registra anche il momento massimo di autocoscienza
che l'assoluto ha di sé, in
quanto sa di essere tutta la realtà e che nulla sfugge ad esso o gli si oppone.
Massima identità autocosciente che, idealisticamente, coincide con
la libertà assoluta, in quanto lo
spirito nulla trova più di fronte a sé a limitarlo.
“Mentre nei gradi intermedi della dialettica prevale la
rappresentazione della spirale, nella visione complessiva e finale del sistema
prevale la rappresentazione del circolo chiuso, che soffoca la vita dello
spirito, dando al suo progresso un termine, al di là del quale ogni attività
creatrice si annulla, perché, avendo lo spirito realizzato pienamente se
stesso, non gli resta che ripercorrere il cammino già fatto... L’impetuosa
corrente sfocia in uno stagnante mare, e nell’immobile specchio trema la vena
delle acque che vi affluiscono ... ” (Guido De Ruggiero).
In effetti, tutti i filosofi
che si sono rifatti in qualche modo all’hegelismo (da Engels a Croce e ai
neomarxisti) hanno criticato l'idea di
uno “stagnante epilogo” della storia del mondo, recuperando invece l’idea di un
processo che risulta costitutivamente aperto. Inoltre, più che sul momento
della “conciliazione” o “sintesi”, tali filosofi hanno insistito sul momento
dell’“opposizione” e della “contraddizione ”, ossia su ciò che Hegel, nella Fenomenologia, chiama “il travaglio del
negativo”.
L'andamento dialettico e circolare
della vita dell'Assoluto procede dunque in modo graduale. Se il vero è l'intero
edificio o organismo, allora ciò che è parziale o iniziale non è la verità. La
verità non è immediata, non si dà tutta subito, d'un colpo, ma mediatamente,
gradualmente. L'immediato
non è vero, essendo
il grado iniziale è il più povero di determinazioni, di caratteristiche: esso non è la verità in quanto nulla esiste o è
vero nel suo isolamento, ma
solo in quanto si confronta con il suo opposto che non lo nega assolutamente,
non lo assoggetta, ma lo aiuta a determinarsi (omnis determinatio est negatio: ogni determinazione
è una negazione), cioè a precisarsi nella sua verità: che viene riconfermata a
un grado di verità superiore, a un circolo più ampio.
Si ha in
questo modo anche una revisione del principio di non
contraddizione della logica classica, perché secondo Hegel
da due opposti non scaturisce una contraddizione che
si autovanifica, ma sorge la verità. Il
principio d’identità (A=A) non riesce a spiegare la differenza. Si deve dunque usare un’altra formula, che
contenga nello stesso tempo l’identità e la differenza: A=B. in questa il
soggetto e l’oggetto, a partire dalla loro differenza, vengono espressi nel
loro convergere (rappresentato dal segno dell uguaglianza). L’identità,
così, non esclude la molteplicità: si ha una sintesi di identità e differenza.
Ogni individualità, ogni essere A, porta già dentro di sé la sua ombra, la sua
negazione, il fatto che non è altro; così, la determinazione dell’altro, di B,
trova in A la sua contraddizione. Ciò che esiste non
può quindi essere pensato con il vecchio principio di contraddizione. In altre
parole, una cosa non è mai semplicemente quello che è, ma è anche, insieme,
quello che non è. Ciò significa che quello che “non è” non è solo un fattore
esterno, ma è una dimensione interna. È come se fosse una ferita nel tessuto
connettivo dell’essere: ogni cosa che esiste è segnata, è ferita dalla negatività.
In un punto estremamente difficile ma nel contempo bello della Fenomenologia dello spirito, Hegel
scrive che la realtà deve mirare a “comprendersi come inquietudine”. Quando
dunque Hegel dice che «il vero è il tutto»
intende proprio questo, e cioè che la verità non è propria di una
realtà nel suo isolamento, nella sua astratta parzialità, ma in quanto è connessa organicamente con tutto il resto,
con tutti i gradi precedenti
e con tutti quelli
successivi che innalzano alla verità in tutta la sua interezza, cioè sotto tutti
gli aspetti, anche quelli che la determinano solo implicitamente. Per
esempio, la bontà in sé (tesi), isolata
da ciò che potrebbe negarla, non è vera. Il vero uomo buono è colui che almeno
una volta è stato tentato o si è imbattuto nella cattiveria (antitesi), e però
l'ha sconfitta, le ha resistito. Il vero
buono dunque è quello
che contempla in sé la possibilità della cattiveria, per negarla,
è cioè colui che nega la negazione della bontà (sintesi).
Provando ancora a esemplificare, un cittadino
onesto era già tale nel primo momento (idea), prima che si affacciasse la
possibilità o la tentazione di rubare, ed è onesto anche dopo che ha superato
la tentazione (spirito): ma che differenza tra i due momenti! Una cosa è
infatti dire a priori (prima di
gestire del denaro altrui), in astratto e dunque in modo poco convinto o fermo: “io
non rubo”; un altro valore, più solido e concreto, ha la medesima affermazione “io
non rubo” detta da uno che avrebbe la possibilità di rubare,
ma si astiene.
Allo stesso modo, l'identificazione di
reale e razionale nell'idea (tesi) ha valore solo astratto e formale; un valore
più concreto ed effettivo ha tale identificazione nello spirito (sintesi), in
cui la negazione, rappresentata dalla natura (antitesi), ha confermato e non
negato tale identificazione iniziale solo astratta. Solo nello spirito (assoluto) il razionale
(idea) è
reale (realtà
naturale e spirituale) e viceversa, perché
lo spirito è l'idea che non è stata negata dalla natura o dalla realtà
storico-mondana, ma che le ha attraversate
vittoriosamente, e perciò solo ora si può dire sensatamente tutto è spirito,
tutto è razionale, e non prima di superare la prova del confronto con tali realtà
che avrebbero potuto smentire tale dichiarazione.
Ma dire che solo il risultato sia “il
vero” significa anche che tutto è vero: Hegel non butta via niente, tutto è giustificato, tutto è razionale; ciò che non è razionale,
semplicemente non è. Tutto è vero, anche se occorre precisare, in proporzioni diverse, concentricamente
ampliantisi, per cui i momenti iniziali del sistema avranno un grado di
verità inferiore rispetto a quelli finali, in quanto
avranno inglobato in sé meno realtà dei successivi, avranno ricondotto alla
razionalità porzioni meno estese di reale.
La negazione è dunque mediazione, che
significa da un lato confronto e
dall’altro passaggio graduale:
Ø confronto con
ciò che (in quanto antitesi) potrebbe negare (la tesi), ma che in realtà viene negato
(sintesi come negazione della negazione) rafforzando così il
punto di partenza ancora
astratto;
Ø passaggio graduale
da una circolarità (composta dialetticamente dai tre momenti di tesi, antitesi
e sintesi) più povera (di essere), inferiore, meno spirituale, a una più ricca,
superiore, più spirituale: in questo caso mediazione è gradualità, e gradualità
è concatenazione.
La
sintesi come momento culminante e più ricco di una circolarità precedente
(ricordiamo, circolarità in quanto la sintesi ritorna alla tesi, ma è una tesi
rafforzata) si pone poi come tesi,
come punto di partenza e più povero di una circolarità successiva. Ad esempio:
l'uomo è il punto culminante e più ricco dello sviluppo dialettico della
natura, in quanto cerchio che racchiude concentricamente in sé le precedenti e
inferiori circolarità della natura; ma l'uomo inteso ancora solo come natura
(come quella specie animale in cui culmina l'evoluzione della natura) è il
punto di partenza più povero per il processo dialettico dello spirito, le cui
categorie iniziali, meno determinate, coincidono con l'emergere dell'attività
spirituale all'interno di un individuo considerato ancora come prevalentemente
naturale.
La critica alle filosofie precedenti
Dopo aver definito in positivo i capisaldi dell’hegelismo,
è venuto il momento di illustrarli in
negativo, ossia di vedere a quali filosofie esso storicamente si contrapponga.
a) Hegel e gli illuministi
La filosofia di Hegel
implica un oggettivo rifiuto della maniera illuministica di rapportarsi al
mondo. Infatti gli illuministi ritengono che il reale non è razionale, dimenticando così che la vera ragione (= lo
Spirito) prende corpo nella storia ed abita in tutti i momenti di essa. Quindi,
la ragione degli illuministi è puramente soggettiva: esprime solo le esigenze e
le aspirazioni degli individui; è una ragione esterna al reale, finita,
parziale e dunque astratta. Per Hegel questa ragione si dovrebbe chiamare
“intelletto”, intendendo con questo termine una ragione che pretende di dare
lezione alla realtà e alla storia, stabilendo come dovrebbe essere e non è. Per
Hegel la realtà è sempre necessariamente ciò che deve essere: il reale è già
razionale e non necessita di alcuna correzione da parte dell’intelletto.
b) Hegel e Kant
Kant aveva voluto costruire
una filosofia del finito, e l’antitesi fra il fenomeno e il noumeno, fra il
dover essere e l’essere, tra la ragione e la realtà, fa parte integrante di una
tale filosofia. La distinzione tra fenomeno (la realtà per noi in sede teoretica) e noumeno, o tra essere e dover
essere (in sede pratica), dimostra proprio
il mancato riconoscimento per cui l’essere, cioè la realtà, è già attualmente tutto ciò che deve essere, in quanto già identica con la ragione che quindi non
le si impone normativamente dall’esterno come ideale a cui ci si può sempre
avvicinare, ma mai avvicinare. Ad esempio, le idee della ragione sono soltanto
ideali regolativi, che spingono la ricerca scientifica all’infinito, verso una
compiutezza che essa non può raggiungere mai; così come in campo morale, la santità, cioè la perfetta conformità della volontà
alla legge della ragione, è il termine di un progresso all’infinito. In una parola, l’essere non si adegua
mai al dover essere, la realtà alla razionalità. A Kant Hegel rimprovera anche
la pretesa di voler indagare la facoltà di conoscere prima di procedere a conoscere:
pretesa che egli assimila all’assurdo proposito “di imparare a nuotare prima di
entrare nell’acqua”.
c)Hegel e i romantici
Il dissenso di Hegel nei
confronti dei romantici verte essenzialmente su due punti.
In primo luogo Hegel
contesta il primato del sentimento, dell’arte o della fede, sostenendo che la
filosofia, in quanto scienza dell’Assoluto, non può che essere una forma di
sapere mediato e razionale. L’Assoluto
non si attinge immediatamente, come con un “colpo di pistola”, ma gradualmente, attraverso catene di
mediazioni progressive. Da escludere quindi è l’accesso intuitivo
all’Assoluto in tutte le sue modalità: modalità che vengono invece celebrate e
rinvenute dai romantici nella via sentimentale, nell’intuizione artistica o
nella religione.
In secondo luogo, Hegel
contesta gli atteggiamenti individualistici dei romantici (o, per meglio dire,
di una parte dei romantici), affermando che l’intellettuale non deve
narcisisticamente ripiegarsi sul proprio io, ma tener d’occhio soprattutto
l’oggettivo “corso del mondo”, cercando d’integrarsi nelle istituzioni
socio-politiche del proprio tempo.
In realtà Hegel, pur non
rientrando nella “scuola romantica” in senso stretto, risulta profondamente
partecipe del clima culturale romantico, del quale oltre a numerosi motivi
particolari (il concetto della creatività dello Spirito, dello sviluppo
provvidenziale della storia, della spiritualità incosciente della natura ecc.)
condivide soprattutto il tema dell’infinito, anche se ritiene che ad esso si
acceda speculativamente e non attraverso vie “immediate”.
d) Hegel e Fichte
Hegel muove a Fichte due
rilievi. In primo luogo il soggettivismo
di Fichte non assimila adeguatamente l’oggetto, lo riduce, insomma, a
semplice ostacolo esterno dell’Io, con il rischio di un nuovo dualismo, di tipo
kantiano, fra spirito e natura, fra libertà e necessità. In altri termini, la
natura, schiacciata dalla signoria del soggetto, perde ogni autonoma
giustificazione del proprio essere, finendo per apparire, sia nell’attività
conoscitiva che in quella pratica, come una mera forma dell’Io.
Hegel, inoltre,
accusa Fichte di aver ridotto l’infinito a semplice meta ideale dell’io finito. Ma in tal modo il finito, per adeguarsi
all’infinito e ricongiungersi con esso, è lanciato in un progresso all’infinito
che non raggiunge mai il suo termine. Un infinito incompiuto che non giunge mai
a termine, una circolarità eternamente aperta che non conosce requie o chiusura
definitiva. Ora questo progresso all’infinito è, secondo Hegel, il "falso" o “cattivo
infinito” (nel senso di imperfetto e di inadeguato) o infinito negativo; non
supera veramente il finito perché lo fa continuamente risorgere, ed esprime
soltanto l’esigenza astratta del suo superamento. Di conseguenza, Fichte si
troverebbe ancora, dal punto di vista di Hegel, in una filosofia incapace di
giungere a quella piena coincidenza, che costituisce la sostanza
dell’idealismo, tra finito e infinito, razionale e reale, essere e dover‑essere,
senza lasciare nulla di esterno da assorbire, in cui cioè non può comparire più
alcun limite.
e) Hegel e Schelling
Alla filosofia di Schelling,
Hegel riconosce il primo reale superamento dell’opposizione fra soggetto e
oggetto, superamento che avrebbe potuto portare ad un sistema filosofico che
sia effettivamente espressione dell’intero, della totalità. Tuttavia, Hegel
critica il carattere a-dialettico del Assoluto schellinghiano, inteso come
unità indifferenziata e statica da cui derivano in modo inesplicabile la
molteplicità e la differenziazione delle cose. Infatti nella Fenomenologia dello Spirito, Hegel
ravvisa nell’Assoluto schellinghiano un “abisso
vuoto” nel quale si perdono tutte le determinazioni concrete della realtà e
lo paragona alla notte nella quale tutte
le vacche sono nere. In altri termini, l’Assoluto di Schelling è un’unità
astratta incapace di spiegare la molteplicità delle cose.
Inoltre, Hegel non condivide
la tesi schellinghiana (e romantica in generale) per cui la natura sia una sede
adeguata della manifestazione dell’Assoluto. Per Hegel, la natura coincide con l’antitesi, con il momento della negazione
dell’idea, che ritroverà se stessa solamente nello spirito.