Lo Spirito oggetivo
I temi trattati nel momento dello Spirito oggettivo
sono presenti oltre che nell’Enciclopedia
delle scienze filosofiche, anche nei Lineamenti
della filosofia del diritto. Nel momento oggettivo, lo Spirito si realizza
non più a livello individuale ma meta individuale, cioè come realtà storica, come istituzione.
L’uomo si realizza nel DIRITTO ASTRATTO, cioè mediante qualche cosa di esteriore, dandosi
una serie di leggi che sono eteronome. Nella filosofia hegeliana
il diritto dev’essere inteso in senso lato come l’insieme di norme che regolano
le relazioni tra gli individui di una comunità. Il diritto non è altro che il volere individuale che si oggettiva attraverso due ambiti che,
considerati unitariamente, formano un sistema coerente e razionale: le norme esplicite, che costituiscono il
diritto positivo, e le norme implicite,
che vengono seguite sulla base della tradizione e che costituiscono il costume.
Il fondamento del diritto è per Hegel la proprietà [1]:
l’uomo cerca di affermarsi, esercita la sua libertà e si dà un’esistenza proiettandosi
all’esterno, espandendosi attraverso cioè il possesso e l’uso delle cose, perché
grazie ad esse l’individuo entra in relazione con gli altri. Il diritto quindi inizialmente nasce per
stabilire la proprietà delle cose o la loro alienazione (il liberarsi delle
proprie cose per cederle ad altri). Infatti, l’acquisizione o la cessione
devono essere regolate dal diritto mediante il contratto, con il quale i soggetti sottoscrivono un accordo col quale si diventa proprietari di beni. Tuttavia, se c’è il diritto è perché esiste la possibilità della violazione delle norme. In
altre parole, il contratto può essere negato dal delitto: il delitto è la negazione di quel cardine del diritto che
è il contratto. Il delitto ha varie gradazioni: va dal torto semplice alla
violenza fino al delitto. Il diritto contro il torto, mediante
la pena, ristabilisce il diritto
originario mediante la punizione del reo. La pena per Hegel non ha un carattere
preventivo o riparatorio né tanto meno vendicativo (in tal caso diventerebbe a
sua volta “torto” in un processo infinito che vede affermarsi soltanto il punto
di vista della “volontà soggettiva” in quanto “volontà particolare”) ma è vista
come ripristino dell’ordine giuridico e razionale violato e riabilita il
delinquente come essere razionale. Pertanto, lo Stato dev’essere inflessibile
nell’infliggere le pene e lo stesso reo, resosi conto che il delitto commesso
lo ha degradato a livello animale, deve riconoscere interiormente la razionale
necessità delle pene.
A questo punto si supera il limite principale del
diritto astratto, cioè il rispetto formale, esteriore, per timore della pena,
senza un consenso intimo (pagare le tasse, per evitare una multa senza essere
convinti intimamente dell’opportunità di pagarle). Il diritto, essendo quindi un
insieme di norme esteriori, è parziale e dà luogo alla
sua antitesi: la sfera della MORALITÀ.
La volontà si eleva al livello dell’universale e si fa volontà morale. Si
raggiunge così un livello più maturo di affermazione della personalità. La
libertà, quando è affermata nel possesso di cose esteriori, non è piena
libertà: se si dipende da cose esteriori, come nel diritto, non si è pienamente
liberi. Nella moralità si afferma un momento superiore: qui si dipende solo
dalla voce della coscienza, da norme che si ritrovano nella propria
interiorità, quindi si è liberi in se stessi. Con la moralità si raggiunge un
livello più alto di libertà in quanto si seguono le norme morali come si sentono
nella propria coscienza: si recupera l’interiorità. L’interiorità però implica
l’intenzione: si aderisce a norme morali, si vorrebbe fare il bene, però, per
un impedimento esteriore, spesso non ci si riesce. Hegel riconosce che la
morale è intenzionale: essa costituisce un passo in avanti perché è interiore,
quindi è più vicina alla libertà, ma a volte, come sosteneva Kant, rimane
puramente intenzionale e formale, non trasforma veramente i contenuti
dell’esistenza, non traduce la concezione del bene sul piano reale, divenendo
vuota “retorica del dovere per il dovere”. In sintesi, Hegel rimprovera a Kant
di aver circoscritto la morale e la nozione di “dovere” all’ambito individuale, all’interno del
quale non possono trovare un contenuto concreto, una specificazione, e restano
unilaterali e astratte.
Per questo Hegel vede un terzo momento risolutivo nella
sfera dell’ETICITÀ: il bene, che è
il fine universale, non deve restare semplicemente all’interno, cioè restare ad
un livello puramente soggettivo e interiore, come nella morale, ma deve anche
realizzarsi nell’esistenza esterna. Il bene non deve rimanere un dover essere a
cui poi l’essere non corrisponde, deve tradursi in realtà (come sempre nella
visione monistica di Hegel: il reale è razionale). Quindi moralità e diritto
formale sono due astrazioni la cui verità è solamente l’eticità. Infatti,
diritto e moralità implicano ancora un riferimento all’individuo, che ha
rapporti esteriori o rapporti con la propria interiorità, ma rimane individuo;
invece la vera realtà non è l’astrazione dell’individuo, bensì la concretezza
dello Stato. Hegel usa i termini “astratto” e “concreto” all’inverso di come si
fa nel linguaggio ordinario. Per Hegel “astratto” è tutto ciò che è
individuale, cioè che è “tratto fuori” dal contesto totale, il “concreto’ (da
“cum” latino) è quello che, invece, è unito con tutto il resto, è unito alla
totalità. Per Hegel il tutto prevale sulla parte. L’individuo è astratto: non
esiste in quanto tale, bensì solo nel contesto dello Stato. L’eticità comprende
in sé l’esteriorità del diritto e l’interiorità della morale: è quell’insieme
di comportamenti che legano l’individuo agli altri, ma cui si aderisce
spontaneamente perché li sente come propri anche se sono regolati in
istituzioni. Hegel è d’accordo con Aristotele sul fatto che l’uomo è un animale
politico: l’uomo non vive isolato, esso, dice Hegel, è destinato alla vita
comunitaria. L’eticità è intesa
come sentire comune, come morale collettiva che si incarna nelle istituzioni. È
sostanza etica che acquista una
dimensione sociale, ma è vissuta dall’individuo anche come propria realtà
interiore. Con l’espressione “sostanza etica”, Hegel intende dire che la
moralità non è una dimensione individuale ma storica e sociale (in questo senso
si parla di “Spirito oggettivo”). La “sostanza etica” va considerata
separatamente dagli individui e anzi li determina e li forma moralmente
oggettivandosi storicamente nelle istituzioni.
Il primo momento dell’eticità, è la famiglia che si basa sul vincolo
dell’amore, sullo jus sanguinis. La
famiglia ha la propria base nella naturalità ma in essa la naturalità è elevata
a momento spirituale, perché essa rappresenta una fusione sostanziale e non
solo fisica tra i coniugi. In essa, dice Hegel, l’individuo è una sola cosa con
gli altri membri di questa istituzione: la famiglia è un’unica persona, nel
significato giuridico del termine, ed è una sola sostanza dal punto di vista
etico, una piccola totalità basata sul sentimento, sul consenso e sulla fiducia
reciproca. Quindi non è un mero contratto ma un’unione spirituale e morale che
si scioglie solo quando i singoli membri tornano ad essere persone separate. L’istituzione
familiare si articola in matrimonio, patrimonio e educazione dei figli. L’unione matrimoniale dà bene il senso
del vincolo etico in quanto è fondato sul libero consenso, su un’adesione sulla
base di una scelta libera che richiede la volontaria rinuncia a una parte della
propria libertà per dedicarsi al coniuge e alla prole. Questi obblighi, questi
doveri, contratti spontaneamente, per libero consenso, non si avvertono però come
un’esteriorità. La famiglia è un
organismo etico proprio in quanto implica vincoli accettati volontariamente,
liberamente. Il patrimonio è la fonte per il soddisfacimento delle necessità fisiche e
educative dei membri. Soprattutto è molto suggestiva la parte in cui Hegel
parla della “seconda nascita”, cioè quella spirituale, che è data dall’educazione
dei figli di cui i genitori si assumono la responsabilità. Il bambino,
quando nasce, la trova preesistente, ne fa parte senza essersela scelta. Hegel
vuol mettere in guardia dall’astrattismo individualistico: l’individuo già da
quando nasce fa parte della piccola comunità della famiglia, che apre la strada
alle comunità più ampie. Attraverso l’educazione, la famiglia rende possibile
la trasmissione di sostanza etica ai nuovi individui e quindi svolge un ruolo
di mediazione che garantisce continuità, non solo biologica, alla società
stessa. I figli, infatti, non sono proprietà dei genitori, come nel mondo
romano, ma, divenuti adulti, lasciano la famiglia di origine e ne formano
un’altra con altri interessi. La famiglia insomma prende consapevolezza che non
è autosufficiente: non tutti i bisogni che si presentano all’interno della
famiglia si possono soddisfare al suo interno, nasce quindi l’esigenza del
passaggio verso una forma di aggregazione più vasta, superiore, che è la società civile, vale a dire al mondo
dell’economia, della produzione.
“Società civile” è un neologismo che Hegel ha
fondato quasi simultaneamente ad Haller, un filosofo politico suo
contemporaneo. Questa nuova locuzione che Hegel ha inventato viene oggi
adoperata in maniera spesso erronea: si usa il termine “società civile”
come se indicasse qualche cosa di positivo contro la barbarie, invece la parola
“civile” per Hegel ha il senso che viene da civis
latino, vuol dire abitante della città, della polis (infatti in tedesco “società civile” si dice bürgerlische Gesellschaft, da “borghese”, “abitante del borgo”). Perché Hegel ha
inventato questo neologismo? Da Aristotele fino a Kant, lo Stato o la polis, città-Stato, implica anche la
società civile, si parla cioè di cittadino, di membro dello Stato e di membro
della società come se fossero la stessa cosa. Hegel invece è il primo che
distingue nettamente la società civile dalla società politica: “società civile”
non è locuzione intesa in contrapposizione a società barbarica, a barbarie,
bensì vuol indicare l’uomo nella sua sfera privata, soprattutto nella sfera dei
rapporti economici che conduce a forme di aggregazioni (sindacato, corporazione)
con i propri compagni di lavoro, per difendere i propri interessi, la sfera dei
suoi bisogni. L’espressione “società civile” in Hegel ha un connotato negativo,
perché Hegel la definisce come “lo stato della necessità e dell’intelletto”. Lo stato (“stato” nel senso di “condizione”) della
necessità è la sfera dei bisogni, è la sfera in cui entrano in contatto le
famiglie e quindi gli individui che ne fanno parte, per soddisfare i loro
bisogni economici, i loro bisogni materiali. La società civile è il luogo
dell’incontro-scontro di interessi particolaristici: ciascuno è fine a se
stesso e l’alterità è vista come rivalità. È la sfera dell’intelletto in
quanto, per Hegel, l’intelletto è una funzione analitica: l’intelletto, nel
vedere le cose come separate le une dalle altre, corrisponde
all’individualismo. Ora, la società civile per Hegel è come l’intelletto, poichè
consta di individui o gruppi di individui separati tra di loro.
La società civile si identifica con la sfera economico-sociale, che si interessa
della produzione e degli scambi dei beni, e la sfera giuridico-amministrativa, predisposta per realizzare e ricomporre
l’armonia sociale. La società civile si articola in tre momenti. Il sistema
dei bisogni, per il cui soddisfacimento nasce il lavoro, con la specializzazione e la suddivisione in tre classi
sociali: classe sostanziale
(agricoltori e allevatori), classe formale
(artigiani, operai e industriali) e
classe universale (che si occupa
degli interessi pubblici attraverso funzionari, impiegati, ecc.). L’amministrazione
della giustizia, che attraverso i giudici espleta il potere giudiziario;
essa sovrintende al rispetto delle leggi senza richiedere l’adesione interiore
e il consenso personale. La polizia e le corporazioni: la prima
volta alla sicurezza sociale che garantisce la coesione esterna, la seconda si
presenta come una sorta di seconda famiglia e realizza una certa unità tra le
volontà del singolo lavoratore e la sua categoria professionale di appartenenza
instaurando una solidarietà di gruppo. Le corporazioni, quindi, consentono al
cittadino di uscire fuori dall’egoismo per giungere ad una dimensione universale e sovraindividuale. Insomma, la società civile media gli
interessi particolari ma non arriva ad una identità comune che si raggiungerà
solo nello Stato.
Come all’intelletto, che è per sua natura analitico,
succede una facoltà superiore, la ragione, che è sintetica (non vede le parti e gli individui ma il tutto come prevalente, opera cioè la
sintesi), così alla società civile succede lo Stato, che è l’equivalente della totalità, che è superiore alla
somma degli individui: non è equivalente alla società, è qualche cosa di più. Lo Stato è sostanza etica consapevole di sè, incarnazione suprema della morale sociale e del bene comune. Con una terminologia usata a suo tempo da Hobbes, Hegel definisce lo Stato anche come Dio in terra. Hegel riprende spesso non solo espressioni ma anche concetti di filosofie precedenti alla
sua, attribuendo ad essi nuovi significati e questo, del resto, è in piena sintonia con l'idea hegeliana dello sviluppo
dialettico secondo cui solo alla fine le cose acquistano vero significato; pertanto, le espressioni coniate dai pensatori del passato finiscono per assumere
nella filosofia hegeliana un significato più compiuto di quello che rivestivano
nella filosofia di provenienza. Ad esempio, l'espressione secondo cui lo Stato è Dio in terra, in Hobbes
riveste una valenza esclusivamente politica, mentre in Hegel si colora
metafisicamente: se per Hobbes l'espressione voleva semplicemente dire
che i beni maggiori l'uomo può aspettarseli in primo luogo da Dio, poi dallo Stato, per Hegel, invece, il Dio della religione è l'Assoluto della filosofia,
il quale si manifesta dialetticamente come natura, Dio e, soprattutto, Spirito. Lo Stato, nota Hegel, è
Dio in terra perchè rappresenta il culmine dello spirito oggettivo che giunge alla sua massima manifestazione in istituzioni, delle quali lo Stato rappresenta l'apice. Nello Stato, l'individuo torna in una famiglia più grande, indirizzando i particolarismi della famiglia e della società verso il bene collettivo. In esso avviene la conciliazione dei conflitti e la fondazione di una comunità veramente etica, capace di realizzare quell'unità e armonia che nella famiglia avevano un carattere naturale, inconsapevole e immediato, basato sul mero sentimento dell'amore. Questo passaggio è stato reso possibile grazie al momento conflittuale e negativo della società civile da cui era immune la famiglia.
Hegel non intende delineare un modello ideale di Stato, quasi esso fosse il frutto della volontà degli uomini. Ciò che lo Stato è, è ciò che deve essere. Contrario al contrattualismo, per Hegel lo Stato non nasce da un accordo tra gli individui: ciò infatti legittimerebbe la superiorità di questi ultimi e la subordinazione dello Stato. Al contrario, lo Stato viene prima degli individui sia cronologicamente, in quanto gli uomini nascono all'interno di istituzioni ad essi preesistenti, sia idealmente e assiologicamente, cioè dal punto di vista valoriale.
Lo Stato è più di un'entità politico-istituzionale, esso ha un carattere metafisico: non nasce dalla volontà dei singoli ma è incarnazione dello Spirito di un popolo che si raggiunge quando maturano quelle condizioni spirituali che costituiscono l'humus sostanziale della comunità stessa, cioè quell'insieme di valori spirituali che fondano gli individui nello Stato, unendoli da vincoli spirituali. Lo Stato, quindi, ha un carattere spirituale, culturale. Nella sua totalità, lo Stato è un soggetto unitario razionale, in cui gli individui sono momenti. In quanto sintesi della famiglia (momento soggettivo) e della società civile (momento oggettivo), lo Stato è adesione interiore dei cittadini a un'eticità. L'individuo risulta completamente subordinato allo Stato ma non per un processo di costrizione bensì per identificazione. La sovranità dello Stato non nasce quindi dagli individui ma esso riceve legittimazione dalle sue stesse forme di organizzazione, in altre parole da se stesso.
In questa prospettiva, Hegel rifiuta il giusnaturalismo e quindi nega che l'individuo abbia diritti naturali prima e oltre lo Stato. Tuttavia Hegel, conformemente ad una tradizione che va da Hobbes a Rousseau, accetta la supremazia della legge, che è l'ambito entro cui lo Stato stesso agisce; pertanto lo Stato hegeliano non si configura come uno stato dispotico, cioè illegale. Di conseguenza, secondo George H. Sabine, lo stato hegeliano si configura come "quello che la giurisprudenza tedesca chiamò più tardi Rechstaat, cioè "Stato di diritto", fondato sul rispetto delle leggi e sulla salvaguardia della libertà "formale" dell'individuo e della sua proprietà (da ciò l'ammirazione hegeliana per la codificazione napoleonica). I tre momenti dello Stato sono il diritto interno, il diritto esterno e la storia del mondo.
Per quanto riguarda il Diritto interno, Hegel ritiene che l'organizzazione di uno Stato si basa sulla costituzione. Coerente con la sua ottica storicistica, la costituzione non è frutto di un accordo a tavolino, non è un patto convenzionalmente stabilito tra gli individui ma qualcosa che nasce necessariamente dalla vita collettiva e storica di un popolo: è una sola cosa con lo Spirito del popolo. Dunque non ha senso chiedersi chi debba essere il suo autore perchè non c'è costituzione che sia stata elaborata da alcuno ma essa si solge contemporaneamente allo svolgimento dello Spirito. Pertanto, è vano tentare di imporre una costituzione ad un popolo (come fece Napoleone con gli spagnoli), anche se si trattasse della migliore costituzione del mondo. Lo Stato costituzionale prevede tre poteri divisi ma non distinti tra loro: il potere legislativo, il potere governativo o esecutivo e il potere principesco. Per Hegel la forma istituzionale migliore è la monarchia costituzionale, in cui i tre poteri sono connessi dialetticamente e in cui lo l'unità dello Stato è garantita dal sovrano.
Il potere legislativo consiste nel potere di determinare e di stabilire l'universale attraverso le leggi. Esso è esercitato da una Camera alta e una Camera bassa. La prima è formata dai rappresentanti della nobiltà terriera, cioè dei ceti agricoli, e pertanto assicura la continuità con il passato; la seconda è formata dai deputati delle corporazioni, cioè del ceto industriale, è portatrice delle istanze di progresso e innovazione. La rappresentanza è per Hegel l'elemento essenziale dello Stato moderno in quanto concretizzazione dell'idea di libertà, tuttavia non si può parlare nel pensiero hegeliano di sovranità popolare in senso stretto. Pur insistendo sull'importanza mediatrice dei ceti, che, come nei Lineamenti Hegel sostiene, stanno tra il governo in genere da un lato, e il popolo dissolto in individui e sfere particolari dall'altro, di fatto si mostra diffidente nei confronti del loro agire politico, ritenendo che essi, per loro natura, siano inclini a far prevalere gli interessi particolari a discapito dell'interesse generale. Esplicitando chiaramente la propria distanza dal pensiero democratico, per Hegel, come dice nei Lineamenti, il popolo non sa ciò che vuole mentre i membri del governo possono fare ciò che è il meglio senza i ceti. Coerentemente con queste premesse, Hegel dichiara che l'assemblea dei ceti è soltanto una parte, tra l'altro quella meno determinante, del potere legislativo, poichè a quest'ultimo concorrono in modo preminente gli altri due poteri.
Il potere governativo, che comprende in sè i poteri giudiziari e di polizia operanti a livello di società civile, consiste nello sforzo di tradurre in atto, cioè in casi specifici, l'universalità delle leggi. E' questo il compito dei funzionari dello Stato.
Il potere del principe è affidato ad un monarca costituzionale, che è il culmine e il principio della totalità. Egli rappresenta l'incarnazione stessa dell'unità dello Stato, cioè il momento in cui la sovranità di quest'ultimo si concretizza in un'individualità reale, cui spetta la decisione ultima circa gli affari della collettività. Tuttavia, al di là dell'enfasi posta da Hegel sulla figura-simbolo del monarca, la sua funzione consiste, in ultima istanza, come si afferma nei Lineamenti, nel dire sì, e mettere i puntini sulle i. Pertanto, nel modello costituzionale hegeliano, il potere è di fatto esercitato dal governo, cioè dai ministri e dai pubblici funzionari.
Circa il DIRITTO ESTERNO, Hegel, diversamente da Kant che sogna una federazione di stati che garantisca la pace perpetua, è contrario a qualsiasi forma di diritto internazionale o magistratura sovranazionale in grado di regolare i rapporti inter-statali. Hegel rifiuta il cosmopolitismo illuministico e kantiano, considera vacui i discorsi sui diritti naturali nonchè assurde fantasticherie i progetti di federazione internazionale e di pace perpetua. Quale concretizzazione dello spirito di un popolo, ogni Stato si pone di fronte agli altri come un organismo indipendente e sovrano che cerca il proprio riconoscimento. Ogni Stato è dunque un individuo che fronteggia altri individui sulla base di certi interessi. Si possono stipulare trattati e convenzioni internazionali ma in caso di divergenza inconciliabile il solo giudice o arbitro è lo spirito universale, cioè la STORIA DEL MONDO, la quale ha come suo momento strutturale la guerra. Questa per Hegel non solo è necessaria e inevitabile, quando non è possibile alcun accomodamento, ma addirittura possiede un alto valore morale. Con un famoso paragone, Hegel sostiene nei Lineamenti che come il movimento dei venti preserva il mare dalla putredine, nella quale sarebbe ridotto da una quiete durevole, così la guerra preserva i popoli dalla fossilizzazione alla quale li ridurrebbe una pace durevole o perpetua. Lungi dall'essere potenza, violenza, cieco destino, la guerra è una modalità di sviluppo della storia. Questa è manifestazione razionale dello Spirito: anche gli eventi recalcitranti, quelli che l'intelletto definisce "male", in realtà sono preparazione a un bene superiore successivo.
Hegel non nega che la storia possa apparire come un insieme di fatti contingenti, insignificanti e mutevoli cioè priva di una razionalità e divinità ma piuttosto da disordine, distruzione e male. Questa visione è propria dell'intelletto finito, cioè di coloro che misurano la storia alla stregua dei propri personali, seppur rispettabili, ideali e non sa elevarsi al punto di vista puramente speculativo della ragione assoluta. La storia invece è tutta razionale perchè guidata dalla ragione. Tale concezione non è dissimile dalla fede religiosa nella Provvidenza, solo che nel pensiero hegeliano la Provvidenza è portata alla forma di sapere che la sottrae dal limite di genericità proprio della fede. Di questa storia sono protagonisti inconsapevoli singoli popoli e singoli uomini: lo spirito del mondo infatti si incarna negli spiriti dei popoli che si succedono all'avanguardia della storia. In ogni epoca solo un popolo, con la sua cultura, le sue istituzioni, la sua dimensione etico-politica, incarna adeguatamente lo spirito del mondo; solo un popolo, quello che rappresenta l'espressione più compiuta dell'autocoscienza dello spirito del tempo (Zeitgeist), può aspirare al predominio culturale, politico, economico e spirituale. Tale predominio di un popolo è legittimo fino al momento in cui, per il mutamento della situazione oggettiva, quel popolo non sarà più in grado di esprimere al meglio lo spirito universale. A quel punto, l'egemonia passerà a un altro, al quale toccherà di trainare in avanti la storia del mondo. Altri mezzi della storia del mondo sono gli individui e le loro passioni. Queste sono semplici mezzi che conducono alcuni uomini, gli "individui cosmici", a fini diversi da quelli a cui essi esplicitamente aspirano o immaginano (Cristoforo Colombo cercava le Indie ma scoprì l'America). L'azione dell'individuo sarà tanto più efficace quanto più sarà conforme allo spirito del popolo cui l'individuo appartiene. Questi individui sono una sorta di veggenti: sanno qual è la verità del loro mondo, del loro tempo, sono consapevoli che è giunta l'ora perchè l'avvenire si realizzi e imprimono nella storia svolte decisive. Apparentemente questi individui (Alessandro Magno, Giulio Cesare, Napoleone) non fanno che seguire la propria passione e ambizione; ma per Hegel, si tratta di un'astuzia della ragione che si serve degli individui e delle loro passioni come mezzi, come meri fantocci, per attuare i propri fini. Raggiunto il proprio scopo, la ragione abbandona l'individuo che perisce o è condotto a rovina dal suo stesso successo.
Il fine ultimo della storia del mondo è la LIBERTA' dello spirito che si realizza nello Stato, che si configura come il fine supremo. La storia del mondo è storia di libertà e si configura quindi come la successione di forme statali che costituiscono momenti di un divenire assoluto. Nella sua analisi delle diverse culture via via egemoni sulla scena del mondo, Hegel è influenzato certamente dal grande quadro storico tracciato da Herder a fine '700 e dalle teorie di Montesquieu intorno all'influenza del clima e delle condizioni ambientali sullo sviluppo delle civiltà.
I tre momenti della storia del mondo sono: il mondo orientale, patriarcale e teocratica, il cui sovano incarnava sia il potere politico che quello spirituale. In questo mondo la libertà era ancora solo un'idea, in quanto uno solo, il sovrano, era libero e la sua libertà era puro arbitrio e dispotismo. Il mondo greco e romano: nel mondo greco già ritroviamo l'unità sostanziale di finito e infinito di cui aveva parlato gli scritti giovanili. La libertà, che è prerogativa di alcuni, vi compare per la prima volta, anche se in modo astratto e ancora non giunto all'autocoscienza. Infatti le attività dirette alla soddisfazione dei bisogni, cioè le attività economiche, sono affidate ad agenti non liberi: gli schiavi. In altre parole, la cultura greca realizza un'eticità spirituale libera, che ha come correlato sociale la permanenza della schiavitù; il mondo romano, che prosegue la cultura greca, è ancora più astratto e formale. E' decadente e corrotto. L'immagine drammatica della fine del mondo antico culmina nell'infelicità universale e nella morte della vita etica. Infine, il mondo cristiano-germanico al quale Hegel affida il compito di uscire dalla generale negatività della fine del mondo antico, portando in auge il principio dell'interiorità e dell'individualità. La figura di Cristo mostra il suo valore assoluto quando, attraverso l'incarnazione, giunge all'oggettività. In questo modo Hegel vede tutti i presupposti per una realizzazione compiuta della libertà. Attraverso fasi storiche successive, tra le quali sono decisive la Riforma protestante e la Rivoluzione francese, la libertà diviene nella modernità una realtà concreta per tutti. Infatti, la monarchia moderna, abolendo i privilegi dei nobili e pareggiando i diritti dei cittadini, fa libero l'uomo in quanto uomo. Ovviamente, questa libertà, che viene rivendicata dall'uomo e accomuna gli individui nel riconoscimento della loro comune dignità, secondo Hegel si può realizzare soltanto nello "Stato etico", che risolve l'individuo nell'organismo universale della comunità, e non certo in uno Stato di tipo liberale, in cui il singolo pretende di far valere il suo arbitrio e i suoi bisogni particolari. Non è chiaro se Hegel ritenesse che in tal modo la storia fosse giunta al massimo compimento, in particolare nel Regno di Prussia o se essa avesse in serbo nuove fasi. Egli è stato accusato di aver visto nello Stato prussiano la massima realizzazione dello spirito. Indubbiamente alcuni passi dei suoi scritti possono essere letti in questo senso ma le interpretazioni su questo punto non sono unanimi. La portata etica e ideale del criterio della libertà crescente va ben oltre gli esempi storici addotti da lui stesso. Soprattutto su questo punto e sulle sue evidenti implicazioni politiche, si aprirà fra i suoi allievi un dibattito che porterà alla contrapposizione tra una "destra" e una "sinistra" hegeliana.
Hegel non intende delineare un modello ideale di Stato, quasi esso fosse il frutto della volontà degli uomini. Ciò che lo Stato è, è ciò che deve essere. Contrario al contrattualismo, per Hegel lo Stato non nasce da un accordo tra gli individui: ciò infatti legittimerebbe la superiorità di questi ultimi e la subordinazione dello Stato. Al contrario, lo Stato viene prima degli individui sia cronologicamente, in quanto gli uomini nascono all'interno di istituzioni ad essi preesistenti, sia idealmente e assiologicamente, cioè dal punto di vista valoriale.
Lo Stato è più di un'entità politico-istituzionale, esso ha un carattere metafisico: non nasce dalla volontà dei singoli ma è incarnazione dello Spirito di un popolo che si raggiunge quando maturano quelle condizioni spirituali che costituiscono l'humus sostanziale della comunità stessa, cioè quell'insieme di valori spirituali che fondano gli individui nello Stato, unendoli da vincoli spirituali. Lo Stato, quindi, ha un carattere spirituale, culturale. Nella sua totalità, lo Stato è un soggetto unitario razionale, in cui gli individui sono momenti. In quanto sintesi della famiglia (momento soggettivo) e della società civile (momento oggettivo), lo Stato è adesione interiore dei cittadini a un'eticità. L'individuo risulta completamente subordinato allo Stato ma non per un processo di costrizione bensì per identificazione. La sovranità dello Stato non nasce quindi dagli individui ma esso riceve legittimazione dalle sue stesse forme di organizzazione, in altre parole da se stesso.
In questa prospettiva, Hegel rifiuta il giusnaturalismo e quindi nega che l'individuo abbia diritti naturali prima e oltre lo Stato. Tuttavia Hegel, conformemente ad una tradizione che va da Hobbes a Rousseau, accetta la supremazia della legge, che è l'ambito entro cui lo Stato stesso agisce; pertanto lo Stato hegeliano non si configura come uno stato dispotico, cioè illegale. Di conseguenza, secondo George H. Sabine, lo stato hegeliano si configura come "quello che la giurisprudenza tedesca chiamò più tardi Rechstaat, cioè "Stato di diritto", fondato sul rispetto delle leggi e sulla salvaguardia della libertà "formale" dell'individuo e della sua proprietà (da ciò l'ammirazione hegeliana per la codificazione napoleonica). I tre momenti dello Stato sono il diritto interno, il diritto esterno e la storia del mondo.
Per quanto riguarda il Diritto interno, Hegel ritiene che l'organizzazione di uno Stato si basa sulla costituzione. Coerente con la sua ottica storicistica, la costituzione non è frutto di un accordo a tavolino, non è un patto convenzionalmente stabilito tra gli individui ma qualcosa che nasce necessariamente dalla vita collettiva e storica di un popolo: è una sola cosa con lo Spirito del popolo. Dunque non ha senso chiedersi chi debba essere il suo autore perchè non c'è costituzione che sia stata elaborata da alcuno ma essa si solge contemporaneamente allo svolgimento dello Spirito. Pertanto, è vano tentare di imporre una costituzione ad un popolo (come fece Napoleone con gli spagnoli), anche se si trattasse della migliore costituzione del mondo. Lo Stato costituzionale prevede tre poteri divisi ma non distinti tra loro: il potere legislativo, il potere governativo o esecutivo e il potere principesco. Per Hegel la forma istituzionale migliore è la monarchia costituzionale, in cui i tre poteri sono connessi dialetticamente e in cui lo l'unità dello Stato è garantita dal sovrano.
Il potere legislativo consiste nel potere di determinare e di stabilire l'universale attraverso le leggi. Esso è esercitato da una Camera alta e una Camera bassa. La prima è formata dai rappresentanti della nobiltà terriera, cioè dei ceti agricoli, e pertanto assicura la continuità con il passato; la seconda è formata dai deputati delle corporazioni, cioè del ceto industriale, è portatrice delle istanze di progresso e innovazione. La rappresentanza è per Hegel l'elemento essenziale dello Stato moderno in quanto concretizzazione dell'idea di libertà, tuttavia non si può parlare nel pensiero hegeliano di sovranità popolare in senso stretto. Pur insistendo sull'importanza mediatrice dei ceti, che, come nei Lineamenti Hegel sostiene, stanno tra il governo in genere da un lato, e il popolo dissolto in individui e sfere particolari dall'altro, di fatto si mostra diffidente nei confronti del loro agire politico, ritenendo che essi, per loro natura, siano inclini a far prevalere gli interessi particolari a discapito dell'interesse generale. Esplicitando chiaramente la propria distanza dal pensiero democratico, per Hegel, come dice nei Lineamenti, il popolo non sa ciò che vuole mentre i membri del governo possono fare ciò che è il meglio senza i ceti. Coerentemente con queste premesse, Hegel dichiara che l'assemblea dei ceti è soltanto una parte, tra l'altro quella meno determinante, del potere legislativo, poichè a quest'ultimo concorrono in modo preminente gli altri due poteri.
Il potere governativo, che comprende in sè i poteri giudiziari e di polizia operanti a livello di società civile, consiste nello sforzo di tradurre in atto, cioè in casi specifici, l'universalità delle leggi. E' questo il compito dei funzionari dello Stato.
Il potere del principe è affidato ad un monarca costituzionale, che è il culmine e il principio della totalità. Egli rappresenta l'incarnazione stessa dell'unità dello Stato, cioè il momento in cui la sovranità di quest'ultimo si concretizza in un'individualità reale, cui spetta la decisione ultima circa gli affari della collettività. Tuttavia, al di là dell'enfasi posta da Hegel sulla figura-simbolo del monarca, la sua funzione consiste, in ultima istanza, come si afferma nei Lineamenti, nel dire sì, e mettere i puntini sulle i. Pertanto, nel modello costituzionale hegeliano, il potere è di fatto esercitato dal governo, cioè dai ministri e dai pubblici funzionari.
Circa il DIRITTO ESTERNO, Hegel, diversamente da Kant che sogna una federazione di stati che garantisca la pace perpetua, è contrario a qualsiasi forma di diritto internazionale o magistratura sovranazionale in grado di regolare i rapporti inter-statali. Hegel rifiuta il cosmopolitismo illuministico e kantiano, considera vacui i discorsi sui diritti naturali nonchè assurde fantasticherie i progetti di federazione internazionale e di pace perpetua. Quale concretizzazione dello spirito di un popolo, ogni Stato si pone di fronte agli altri come un organismo indipendente e sovrano che cerca il proprio riconoscimento. Ogni Stato è dunque un individuo che fronteggia altri individui sulla base di certi interessi. Si possono stipulare trattati e convenzioni internazionali ma in caso di divergenza inconciliabile il solo giudice o arbitro è lo spirito universale, cioè la STORIA DEL MONDO, la quale ha come suo momento strutturale la guerra. Questa per Hegel non solo è necessaria e inevitabile, quando non è possibile alcun accomodamento, ma addirittura possiede un alto valore morale. Con un famoso paragone, Hegel sostiene nei Lineamenti che come il movimento dei venti preserva il mare dalla putredine, nella quale sarebbe ridotto da una quiete durevole, così la guerra preserva i popoli dalla fossilizzazione alla quale li ridurrebbe una pace durevole o perpetua. Lungi dall'essere potenza, violenza, cieco destino, la guerra è una modalità di sviluppo della storia. Questa è manifestazione razionale dello Spirito: anche gli eventi recalcitranti, quelli che l'intelletto definisce "male", in realtà sono preparazione a un bene superiore successivo.
Hegel non nega che la storia possa apparire come un insieme di fatti contingenti, insignificanti e mutevoli cioè priva di una razionalità e divinità ma piuttosto da disordine, distruzione e male. Questa visione è propria dell'intelletto finito, cioè di coloro che misurano la storia alla stregua dei propri personali, seppur rispettabili, ideali e non sa elevarsi al punto di vista puramente speculativo della ragione assoluta. La storia invece è tutta razionale perchè guidata dalla ragione. Tale concezione non è dissimile dalla fede religiosa nella Provvidenza, solo che nel pensiero hegeliano la Provvidenza è portata alla forma di sapere che la sottrae dal limite di genericità proprio della fede. Di questa storia sono protagonisti inconsapevoli singoli popoli e singoli uomini: lo spirito del mondo infatti si incarna negli spiriti dei popoli che si succedono all'avanguardia della storia. In ogni epoca solo un popolo, con la sua cultura, le sue istituzioni, la sua dimensione etico-politica, incarna adeguatamente lo spirito del mondo; solo un popolo, quello che rappresenta l'espressione più compiuta dell'autocoscienza dello spirito del tempo (Zeitgeist), può aspirare al predominio culturale, politico, economico e spirituale. Tale predominio di un popolo è legittimo fino al momento in cui, per il mutamento della situazione oggettiva, quel popolo non sarà più in grado di esprimere al meglio lo spirito universale. A quel punto, l'egemonia passerà a un altro, al quale toccherà di trainare in avanti la storia del mondo. Altri mezzi della storia del mondo sono gli individui e le loro passioni. Queste sono semplici mezzi che conducono alcuni uomini, gli "individui cosmici", a fini diversi da quelli a cui essi esplicitamente aspirano o immaginano (Cristoforo Colombo cercava le Indie ma scoprì l'America). L'azione dell'individuo sarà tanto più efficace quanto più sarà conforme allo spirito del popolo cui l'individuo appartiene. Questi individui sono una sorta di veggenti: sanno qual è la verità del loro mondo, del loro tempo, sono consapevoli che è giunta l'ora perchè l'avvenire si realizzi e imprimono nella storia svolte decisive. Apparentemente questi individui (Alessandro Magno, Giulio Cesare, Napoleone) non fanno che seguire la propria passione e ambizione; ma per Hegel, si tratta di un'astuzia della ragione che si serve degli individui e delle loro passioni come mezzi, come meri fantocci, per attuare i propri fini. Raggiunto il proprio scopo, la ragione abbandona l'individuo che perisce o è condotto a rovina dal suo stesso successo.
Il fine ultimo della storia del mondo è la LIBERTA' dello spirito che si realizza nello Stato, che si configura come il fine supremo. La storia del mondo è storia di libertà e si configura quindi come la successione di forme statali che costituiscono momenti di un divenire assoluto. Nella sua analisi delle diverse culture via via egemoni sulla scena del mondo, Hegel è influenzato certamente dal grande quadro storico tracciato da Herder a fine '700 e dalle teorie di Montesquieu intorno all'influenza del clima e delle condizioni ambientali sullo sviluppo delle civiltà.
I tre momenti della storia del mondo sono: il mondo orientale, patriarcale e teocratica, il cui sovano incarnava sia il potere politico che quello spirituale. In questo mondo la libertà era ancora solo un'idea, in quanto uno solo, il sovrano, era libero e la sua libertà era puro arbitrio e dispotismo. Il mondo greco e romano: nel mondo greco già ritroviamo l'unità sostanziale di finito e infinito di cui aveva parlato gli scritti giovanili. La libertà, che è prerogativa di alcuni, vi compare per la prima volta, anche se in modo astratto e ancora non giunto all'autocoscienza. Infatti le attività dirette alla soddisfazione dei bisogni, cioè le attività economiche, sono affidate ad agenti non liberi: gli schiavi. In altre parole, la cultura greca realizza un'eticità spirituale libera, che ha come correlato sociale la permanenza della schiavitù; il mondo romano, che prosegue la cultura greca, è ancora più astratto e formale. E' decadente e corrotto. L'immagine drammatica della fine del mondo antico culmina nell'infelicità universale e nella morte della vita etica. Infine, il mondo cristiano-germanico al quale Hegel affida il compito di uscire dalla generale negatività della fine del mondo antico, portando in auge il principio dell'interiorità e dell'individualità. La figura di Cristo mostra il suo valore assoluto quando, attraverso l'incarnazione, giunge all'oggettività. In questo modo Hegel vede tutti i presupposti per una realizzazione compiuta della libertà. Attraverso fasi storiche successive, tra le quali sono decisive la Riforma protestante e la Rivoluzione francese, la libertà diviene nella modernità una realtà concreta per tutti. Infatti, la monarchia moderna, abolendo i privilegi dei nobili e pareggiando i diritti dei cittadini, fa libero l'uomo in quanto uomo. Ovviamente, questa libertà, che viene rivendicata dall'uomo e accomuna gli individui nel riconoscimento della loro comune dignità, secondo Hegel si può realizzare soltanto nello "Stato etico", che risolve l'individuo nell'organismo universale della comunità, e non certo in uno Stato di tipo liberale, in cui il singolo pretende di far valere il suo arbitrio e i suoi bisogni particolari. Non è chiaro se Hegel ritenesse che in tal modo la storia fosse giunta al massimo compimento, in particolare nel Regno di Prussia o se essa avesse in serbo nuove fasi. Egli è stato accusato di aver visto nello Stato prussiano la massima realizzazione dello spirito. Indubbiamente alcuni passi dei suoi scritti possono essere letti in questo senso ma le interpretazioni su questo punto non sono unanimi. La portata etica e ideale del criterio della libertà crescente va ben oltre gli esempi storici addotti da lui stesso. Soprattutto su questo punto e sulle sue evidenti implicazioni politiche, si aprirà fra i suoi allievi un dibattito che porterà alla contrapposizione tra una "destra" e una "sinistra" hegeliana.
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È importante sottolineare che “proprietà” non significa “patrimonio”: nella
Filosofia del diritto di Hegel viene distinta la proprietà, che serve a fini di
utilità personale, dal patrimonio, che può diventare qualche cosa di rilevanza
anche sociale. Hegel sostiene che quando la proprietà diventa patrimonio e
acquisisce un’influenza sociale, deve essere messa sotto controllo dallo Stato:
per questo aspetto si può addirittura dire che Hegel apre la strada al
socialismo.